Bergamini buongiorno. Voleva una intervista alla Aldo Grandi, bene vediamo di cominciare subito: cosa ci fa un lucchese cresciuto in pianura in cima alle montagne?
Porta Lucca in cima al mondo! E credo non sia cosa di poco conto. Ti rispondo con una citazione, che condivido, del grandissimo alpinista italiano Walter Bonatti. “Chi più in alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna”.
Lei lavora da 21 anni alla Sofidel di Porcari. Dove lo trova il tempo per scalare montagne in tutti i continenti?
Permettimi di ringraziare pubblicamente la proprietà della Sofidel che mi ha supportato sponsorizzando tante spedizioni alpinistiche in giro per il mondo. Nel 2016 l’amministratore delegato mi onorò scrivendo la prefazione al mio primo libro. Il tempo necessario lo trovo utilizzando le normali ferie del lavoro e durante il resto dell’anno mi organizzo ogni giorno maniacalmente per trovare il tempo necessario all’allenamento.
Che cosa si prova quando si raggiunge la vetta di un monte tanto ambita e, soprattutto, quando si conquista un Ottomila?
Gioia e soddisfazione! Più di una volta ho pianto per l’emozione. Dietro a queste imprese c’è tanta tanto sacrificio, passione e determinazione. Durante l’anno non mollo un giorno di allenamento per raggiungere i miei obiettivi e nel momento che li realizzi sciogli l’adrenalina e la tensione che provoca il timore di fallire. Nelle altissime cime di solito mi concedo qualche minuto di relax prima di iniziare la discesa. La scalata termina quando si rientra al campo base sani e salvi, la discesa è più pericolosa della salita causa la stanchezza e una minore concentrazione.
Lei nel 2017 si candidò alle elezioni comunali con CasaPound di Fabio Barsanti. Cos'è, un fascista nostalgico?
Macché nostalgico! Fabio Barsanti lo conosco da prima che si occupasse di CasaPound. Fummo la vera novità di quella campagna elettorale, raggiungendo un risultato inaspettato da molti, un 8% di voti che gli ha permesso di dimostrare in cinque anni da consigliere comunale di opposizione le sue qualità politiche e umane, qualità che meritato di essere protagoniste oggi nella maggioranza.
Lei conosce Fabio Barsanti da tanti anni: lo sa che per essergli stato amico e averlo anche appoggiato politicamente ha perso tutti i consensi della Sinistra e di buona parte di lucchesi radical chic-choc?
Ho iniziato e continuo ad andare in montagna perché è un ambiente che amo e che desidero vivere. Non vado per ricevere consensi. Basta dare un’occhiata al mio profilo ufficiale Facebook, per altro molto seguito, dove pubblico al massimo il 60% della mie salite. Tornando alla domanda, se credi in qualcosa non puoi fare calcoli se conviene o no. Se ho perso consensi dalla sinistra e di buona parte di lucchesi radical chic-choc non ne sento la mancanza. L’affetto che ricevo ogni giorno dai cittadini senza prosciutto sugli occhi mi ripaga abbondantemente.
E' vero che prima della sua scesa in campo politica cinque anni fa si organizzavano, a palazzo dei Bradipi, cerimonie e accoglienze degne di un cittadino esemplare e, dopo, solamente un paio di incontri, in forma privata, con il Tambellini e niente più?
Al tempo degli assessori Tuccori e Marchini sono state organizzate alcune conferenze stampa a palazzo Orsetti alla presenza del sindaco Tambellini. Dopo la mia candidatura del 2017 sono stato ricevuto più volte dal sindaco Tambellini, in forma privata nel proprio ufficio. Nei nostri colloqui ha dimostrato stima e molta curiosità sulla mia attività alpinistica, pubblicando sui propri canali social i nostri incontri. A questo punto posso immaginare che davo fastidio ad altri componenti della giunta. Non nego che mi sarei aspettato altra accoglienza, ma pazienza. D’altro canto la ruota gira e adesso da parte della nuova giunta sento più considerazione a prescindere dall’amicizia personale che esiste con vari componenti dell’amministrazione comunale. Comunque le imprese sportive non si oscurano o pubblicizzano in base alle opinioni o scelte politiche dell’atleta.
Torniamo ai monti: lei ha 46 anni e scala da una vita. Mai avuto paura di cadere e, quindi, di morire?
Nutrire la “sana paura” è fondamentale, ti permette di non oltrepassare la linea rossa del proprio ego e di rinunciare alla vetta se le condizioni fisiche, meteorologiche o della montagna non lo consentono. Sono caduto nei crepacci? Certo che sì! Una volta mentre scendevo da una vetta di oltre 7000 metri sotto i miei piedi si staccò un bel costone di neve e ghiaccio facendomi volare per alcune decine di metri, per fortuna senza conseguenze. Sono eventi pericolosi che fanno parte dei pericoli oggettivi che esistono in questo ambiente. Non vado in montagna per morire ma se avessi la paura di cadere avrei sbagliato mestiere.
Voi che amate sfidare il destino scalando il cielo siete una truppa che, ogni anno, si assottiglia un po' a causa di incidenti mortali. Le è capitato di perdere amici o compagni di cordata?
Parecchi amici, purtroppo. Queste disgrazie, soprattutto al momento, ti fanno molto riflettere e pensi che prima o poi toccherà a te. Durante alcune mie ascensioni ho incrociato dei cadaveri che di certo non ti lasciano indifferente. Ma come tutto nella vita, si tende ad andare avanti e difficilmente si smette di fare ciò che piace.
Lei ha sempre parlato di voler rivivere l'alpinismo di una volta. Che cosa intende?
Due esempi recenti e uno un po’ datato. Nel 2021, insieme al mio compagno di cordata Matteo Stella di Courmayeur, ho scalato una montagna inviolata in Nepal dove nessun alpinista al mondo aveva mai messo piede prima. Poco meno di un mese fa siamo stati i primi italiani ad aver scalato una montagna in Pakistan in una stagione, l’autunno, non adatta alle salite in quei luoghi. Nella mia prima esperienza in Nepal, scalai insieme ad altri due alpinisti italiani, una montagna di quasi 6300 metri da una via di salita mai percorsa prima di noi. Bivaccammo al freddo una notte intera senza tende a quasi 6000 metri. In piena autonomia, senza collegamenti esterni, senza guide o portatori, scegliendo o cercando la via di salita, soli in tutta la montagna. Ecco, questo, penso sia rivivere l’alpinismo di un tempo.
Lei ha scalato durante la sua carriera alpinistica due ottomila senza respiratore. Ci spiega qual è la differenza e che cosa significa averlo o non averlo quando si sta appesi a una parete a otto chilometri di altezza?
Per me l’utilizzo delle bombole d’ossigeno è doping e ti spiego il perché. Ho visto escursionisti nelle spedizioni commerciali in Nepal, praticamente trascinati in vetta dagli sherpa, che durante la fase di acclimatamento e salita alla vetta vengono accuditi e serviti per qualsiasi cosa. Anche per le cose più banali, come il mangiare e il vestirsi. Ecco, pur offrendogli tutti questi servizi, sono testimone che senza l’uso delle bombole d’ossigeno non arriverebbero in cima. È un po’ come fare il giro d’Italia con lo scooter. Se io fossi arrivato in cima ad un ottomila con l’ossigeno supplementare non riuscirei a sentirlo mio.
Oggi c’è un abuso impressionante delle bombole d’ossigeno. Viene usato anche sotto i 6000 metri. Nelle salite a 8000 metri la quasi totalità degli alpinisti usa le bombole d’ossigeno prima di arrivare alla così detta zona della morte, tra i 7200 e 7500 metri ed escludono a priori di salire senza. Con questo non voglio denigrare chi ne fa uso. Gli sherpa ad esempio se hanno dei clienti da portare e accudire sono obbligati ad usarlo. Basterebbe tornare a dirlo come una volta e dare un risalto diverso alle salite con o senza l’utilizzo delle bombole d’ossigeno. Pensiamo all’Everest, la montagna più alta della terra. È stato dimostrato che si può salire senza ossigeno supplementare, i più grandi alpinisti che lo hanno tentato con i propri polmoni hanno avuto anche bisogno di 3/4 spedizione alpinistiche di più anni per arrivare alla sommità. La percentuale di riuscita è sempre stata molto scarsa. Oggi la quasi totalità di chi va all’Everest e molti li possiamo considerare dei semplici escursionisti, con tutto questo utilizzo sproporzionato di bombole d’ossigeno, arrivano in vetta al primo colpo. È più facile arrivare in cima che fallire. Una barzelletta, fammelo dire.
Molti si improvvisano scalatori della domenica mettendo a repentaglio la propria vita e anche quella di chi corre a soccorrerli. Lei più volte ha stigmatizzato questi 'dilettanti allo sbaraglio'.
Penso che i social e la brama di pubblicare ciò che si fa abbiano aumentato superficialmente l’approccio e la preparazione dei frequentatori della montagna. Tanti guardano i social e pensano, “ci sono arrivati loro, ci arrivo anch’io”. Senza preoccuparsi se hanno la forza fisica, se conoscono l’ambiente e se utilizzano indumenti o scarpe adatte. Mi è capitato, soprattutto su vette di 4000 metri, di accompagnare amici che ho letteralmente trainato come “salami” in cima.
Non mi permetterei mai di scriverlo in un post pubblico, sono comunque felice per loro, che probabilmente hanno realizzato un proprio sogno. Però neppure loro raccontano come è andata veramente. Quindi, non è solo dire, “c’è arrivato lui”, perché in realtà non sai il modo e il quanto. Si leggono recuperi sempre più frequenti da parte del soccorso alpino di escursionisti esausti dopo poche centinaia di metri di dislivello, che si perdono sui sentieri segnati, che chiamano l’elicottero del soccorso, pur essendo in gruppo, perché uno dei componenti ha preso una storta alla caviglia. Non va bene.
Qual è la sua preparazione fisica e quale alimentazione adotta per prepararsi alle sue imprese?
Mi alleno 6 giorni su 7. Oltre che salite su salite in montagna pratico molta corsa, palestra con pesi e esercizi a corpo libero. Sono molto abitudinario ma tendo sempre ad osare e aumentare la portata dell’allenamento e se non mi sento stanco non mi ritengo appagato.
Non è solo un mero sforzo fisico ma anche divertimento e un modo di vivere sano.
Per l’alimentazione non rinuncio a niente ma con criterio. Molti dicono che ho un dna speciale, che sono fortissimo…io rispondo che alla base della mia forza fisica c’è molto sacrificio, volontà e umiltà. E senza queste virtù non vai da nessuna parte.
Ad un ragazzo che volesse avvicinarsi alla montagna cosa consiglierebbe?
Nessuno nasce “imparato”. Ai giovani che vogliono avvicinarsi alla montagna consiglio di mettersi a disposizione di persone più esperte e capaci, a professionisti come le guide alpine o istruttori del Club Alpino Italiano. Di iscriversi a corsi di avviamento all’alpinismo, all’arrampicata o alla montagna in generis. Dopo di che il tempo e soprattutto la pratica gli farà capire se è pane per i loro denti. Però attenzione, la montagna è libertà, dove ognuno sceglie di viverla come meglio crede. Dall’alpinista professionista a coloro che vogliono ammirare l’ambiente anche solo fermandosi in un rifugio accogliente e facile da raggiungere. Pensare la montagna riservata esclusivamente ad una categoria è sbagliato.
Lei ha scalato anche con Daniele Nardi, l'alpinista morto sul Nanga Parbat nel tentativo di scalare la montagna dal versante più pericoloso. Che ricordo ne ha e cosa pensa di quella tragica fine?
Un buon ricordo. Una persona educata e solare. Eravamo nella stessa spedizione alpinistica in Nepal nel 2009 dove abbiamo salito una montagne di circa 6200 metri alle pendici dell’Everest. Due giorni dopo quella salita ci salutammo perché con altri due alpinisti mi diressi per salire un’altra montagna.
Ci sono rimasto male quando sono venuto a conoscenza della sua prematura scomparsa. Un tragico evento. Mi sento solo di dire che tentare ripetutamente in pochi anni una difficile e pericolosa via di salita sulla stessa montagna non rientra nel mio stile.
Bergamini non sapevamo che lei fosse così prolifico: addirittura otto figli, sette con la prima moglie e uno con l'attuale compagna. Masochista o convinto sostenitore della missione materna delle donne?
Non posso negare di essere prolifico e coraggioso però è onesto dire che sono la parte con poco merito e meno importante durante la gravidanza e la nascita. Sostenitore della missione materna delle donne? Di certo un mondo senza madri è un mondo destinato a scomparire. Fare un figlio è un passaggio molto importante della vita di ognuno di noi a va fatto di comune accordo. Non abbiamo posto limiti alla Provvidenza e non mi pento di averlo fatto.
Ma lei, quando sta in cima ad un ottomila ci pensa mai che se dovesse mettere un piede in fallo e lasciarci le penne, i suoi figli, a casa, potrebbero ancora avere bisogno di lei?
No, soprattutto in un momento così desiderato e cercato come raggiungere una cima di ottomila metri. Non nego che prima di ogni partenza ho sempre il timore o la sensazione di non tornare. Sono sentimenti che dimostrano cosa è veramente importante nella propria vita. Potrei essere l’alpinista più bravo e forte del mondo, ma se nella mia vita di “pianura” fossi senza figli, mi sentirei un numero e nessuna vetta potrebbe colmare il vuoto.
Un'ultima domanda Bergamini: lei è sempre stato un grande tifoso della Lucchese sin da quando suo papà la portava, piccolo, allo stadio. Visti i risultati degli ultimi anni coltiva ancora questa passione o, tutto sommato, meglio andarsi a fare una giornata di allenamento sulle Apuane?
La prima volta che mi hanno portato a vedere la lucchese avevo meno di due mesi e “guardai” la partita dalla carrozzina. Ho avuto la fortuna di vivere negli anni ‘80 e ‘90 un calcio popolare che oggi non esiste più. Ho seguito la Lucchese in trasferta un po’ o ovunque, da Trieste a Palermo, da Acireale a Udine. Mi sono goduto le due promozioni storiche dell’era Maestrelli. Storiche per la passione dei tifosi e della città intera. Lo stadio era praticamente sempre pieno, la partita era un evento, una festa. Veramente un’altro mondo. Il tifo per la squadra di calcio della mia città è una passione che non può svanire, però è ovvio che vivere tanti campionati da comparsa in serie minori con fallimenti societari ripetuti, allontanano l’entusiasmo e i tifosi allo stadio.