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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
25 Aprile 2024

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Di italiani in Australia si può cominciare a parlare nel 1793, quando il navigatore Alessandro Malaspina, originario di Mulazzano in Val di Magra, ma al servizio della corona spagnola, approdò sulle spiagge della Nuova Zelanda e del continente australe. Nei primi anni del secolo XIX si segnala la presenza in Tasmania di deportati italiani, soprattutto di origine settentrionale: siamo però ancora alla preistoria delle relazioni tra due aree del mondo così lontane e diverse. Più significativa la vicenda di Nuova Norcia, un villaggio a nord di Perth nell’Australia occidentale, fondato nel 1845 da una missione benedettina composta di venticinque religiosi guidati dallo spagnolo Rudesindo Salvado: tra loro due benedettini italiani, l’altoatesino Angelo Confalonieri e il romano Nicola Capporelli. Sarà, però, la scoperta dell’oro australiano, all’inizio degli anni cinquanta del XIX secolo, a determinare un primo flusso migratorio di una qualche consistenza e un certo interesse degli ambienti imprenditoriali italiani per quelle remote regioni. Furono circa tremila in questo decennio gli emigranti di lingua italiana provenienti soprattutto dalle aree più povere del Canton Ticino e dalle valli alpine del Piemonte, Lombardia e Veneto. Loro destinazione il bacino aurifero di Bendingo: li aspettavano condizioni di vita durissime e risultati assai poco gratificanti, per cui molti rientrarono in Italia, altri si spostarono in altre zone dell’Australia, altri ancora tornarono a tentare la strada dell’emigrazione spostandosi in America. Tra quelli che rimasero merita di essere ricordato Raffaele Carboni di Urbino, nel 1849 tra i difensori della Repubblica romana, poi esule in Australia, autore di un’abbondante produzione di testi teatrali e nel 1854 protagonista a Ballarat di una famosa rivolta di minatori, contro l’oppressione fiscale e per il suffragio universale. Una vicenda che Carboni narrerà nell’opera The Eureka stockade pubblicata a Melbourne, con qualche successo di pubblico che dura a tutt’oggi, l’anno successivo.
I circoli economici che fin dagli anni immediatamente preunitari manifestarono interesse per l’Australia furono quelli genovesi intrisi di aspirazioni nazionali. Già nel 1853 si costituì a Genova una “Società per l’emigrazione”, di cui sono figure di spicco i garibaldini Nino Bixio e Antonio Mosto, che si proponeva di attivare una corrente di traffici con l’Oceania. Il 27 novembre 1855 un clipper, il “Goffredo Mameli”, comandato da Bixio, mosse da Genova alla volta dell’Australia, carico di merci e con 74 emigranti. Il viaggio non dette i risultati sperati e la società si sciolse nel 1858. Tutta la vicenda, però, sollecitò il governo piemontese a istituire a Melbourne in proprio consolato divenuto operativo nel 1859 e ben presto trasformatosi in rappresentanza diplomatica del nuovo Stato italiano.
Rimarchevole la vicenda dei fratelli pisani Ferdinando e Federico Gagliardi. Personalità inquiete, di sentimenti repubblicani e convinzioni mazziniane e garibaldine, i due conobbero l’esperienza della diaspora migratoria che nel 1876 li portò - letteralmente - all’altro capo del mondo, in Nuova Zelanda prima, in Australia l’anno successivo. Qui nel corso degli anni sia l’uno sia l’altro seppero mettere solide radici nella nuova patria senza, però, smemorare la vecchia. Il più giovane, Federico, fu commerciante e imprenditore, fervente sostenitore delle possibilità economiche rappresentate da un commercio italo-australiano ancora tutto da sviluppare; il maggiore, Ferdinando, fu dapprima giornalista di qualche valore, corrispondente per la “Gazzetta d’Italia” di Firenze, poi bibliotecario presso la State Library di Victoria. Negli anni in cui i due Gagliardi misero piede in Australia contro i 26.000 cinesi, 22.000 tedeschi, 4.000 americani, 2.000 francesi si contavano 1.300 italiani, di cui un migliaio nel Vittoria e poco meno di 300 in Nuova Zelanda. Si trattava di un’emigrazione originaria soprattutto dell’Italia settentrionale, di basso profilo culturale e professionale. Gli italiani in Australia tra gli anni ‘70 e ‘80 esercitavano mestieri umili: erano minatori, cercatori d’oro, taglialegna, pescatori, muratori, braccianti, venditori ambulanti e nei loro confronti non tardarono a manifestarsi le consuete forme del pregiudizio: furono accusati di essere poveri e quindi socialmente pericolosi; di togliere il lavoro agli occupati; di accontentarsi di salari troppo bassi; di risparmiare troppo, di vivere con poco e quindi, con le loro ridotte esigenze, di contribuire ad abbassare il livello di vita dei residenti…
Ogni tempo e ogni luogo, a quanto pare, debbono pagare il loro tributo alla maledizione della xenofobia: “Sono vissuto abbastanza” scrive Stendhal nel Rosso e il nero “per vedere che differenza genera odio”.  

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