Anno XI 
Martedì 3 Giugno 2025
- GIORNALE NON VACCINATO
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Scritto da Maria Vittoria del Rosso
Cronaca
01 Giugno 2025

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Con una formazione in storia dell’arte e della moda, a Lucca e Firenze - due città a cui sono profondamente legata – ho avuto il privilegio di visitare una mostra che incarna in modo esemplare il dialogo tra questi due mondi.
C’è qualcosa di profondamente emozionante nell’entrare in una sala dove ogni abito racconta una vita. Non solo per la perfezione delle linee, la sontuosità dei tessuti o l’evidente maestria di chi li ha realizzati, ma soprattutto per ciò che quegli abiti portano con sé: storie, sogni, memoria.
È questa la sensazione che ho provato visitando la mostra Arte e Moda: un dialogo senza empo  ospitata a Palazzo Bernardini a Lucca e curata nei minimi dettagli dall’antiquaria e collezionista Renata Frediani. 
Un luogo raffinato, intimo, quasi sospeso nel tempo. Ma ciò che cattura più di ogni altra cosa è quanto vi era esposto: abiti che non erano semplicemente moda, ma arte viva.
Perché un abito, quando porta con sé una storia, quando è espressione non solo di una tendenza ma di una cultura, di una società, di un’epoca, si eleva. Diventa arte.
E qui, in questa mostra, ogni creazione aveva la forza silenziosa di un quadro, la densità simbolica di una scultura: un dialogo continuo tra tessuto e memoria, tra forma e significato.
Basti pensare al maestoso abito da sera indossato da una nobildonna in occasione dell’incoronazione della regina Elisabetta II, nel 1953. Non è solo un abito: è un documento storico, un’eco tangibile di un evento che ha segnato il XX secolo. La sua ampia gonna, la struttura del corpetto, il rigore e l’eleganza delle sue linee non solo incantano l’occhio, ma raccontano una forma di potere femminile, discreto e insieme abbagliante, in un momento cruciale per l’Europa del dopoguerra.
L’abito da sera in tulle nero riflette appieno lo stile senza tempo di Aurora Battilocchi, pioniera dell’alta sartoria romana: un distillato di eleganza pura, sobria e raffinata. Osservandolo, si percepisce quanto fosse avanti rispetto al suo tempo: una vera visionaria, capace di interpretare la moda con uno sguardo moderno e sofisticato, già proiettato nel futuro.
Tra gli abiti haute couture esposti, l’abito da sera in seta rossa di Valentino Garavani appartenuto a Maria Pia Tavazzani Fanfani colpisce per il contrasto tra la raffinatezza assoluta del capo e l’intensità della vita di chi lo ha indossato: una vita segnata dall’eleganza, ma anche da lotte sociali, impegno civile e presenza pubblica. In questo caso, è davvero difficile stabilire cosa affascini di più: la storia che l’abito racconta o la sua bellezza scultorea, iconica.
L’abito anni Cinquanta dell’atelier di Fernanda Gattinoni, invece, ci riporta in un’epoca di sogni, luci e contrasti. È un capo che evoca scandali di corte, il fascino dorato del cinema, l’amore per l’America e l’inconfondibile dolce vita italiana. Tra passerelle romane e set hollywoodiani, quell’abito racchiude tutto il glamour e la tensione di un’epoca in cui la moda non vestiva solo i corpi, ma anche i desideri.
Fino ad arrivare alla prestigiosa Maison Carosa, fondata nel 1947 dalla principessa Giovanna Caracciolo Ginetti, protagonista delle prime storiche sfilate di alta moda italiana a Firenze. Un pezzo di storia, una figura che ha saputo innovare costantemente. In mostra, un elegante abito da sera nero ne testimonia il gusto raffinato e la forza espressiva: un capo che non è solo simbolo di stile, ma memoria viva di un’epoca pionieristica. 
Ogni storia, ogni abito, trasforma la mostra in una celebrazione non solo dell’incontro magico tra arte e moda, vite personali e memoria collettiva, ma anche di un dialogo profondo tra passato e presente.
Il merito di questo raffinato allestimento va a Renata Frediani, non nuova all’esperienza della selezione di abiti preziosi. Esperta dello stile Neoclassico, dello Stile Impero e della cultura napoleonica, a lei si deve il ritrovamento – dopo due secoli – del sensazionale abito appartenuto alla principessa Elisa Bonaparte Baciocchi, oggi esposto al Museo Nazionale di Palazzo Mansi a Lucca e finalmente ricongiunto al suo manto grazie al gesto di liberalità dell’antiquaria, collezionista e studiosa.

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