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Louis-Albert-Guislain Bacler d'Albe: il cartografo segreto di Napoleone
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"Ma chi te lo fa fare"
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Napoleone Bonaparte non fu solo un genio militare, ma anche un instancabile innovatore. La sua capacità di individuare talenti straordinari e di affidare loro ruoli chiave fu uno dei segreti del suo successo. Tra questi, spicca Louis-Albert-Guislain Bacler d'Albe, il cartografo che contribuì a trasformare la geografia in una scienza strategica, capace di modellare l’Impero.
Il generale francese Louis-Charles-Antoine (1768-1800) lo descriveva con parole incisive: "L’auteur est un petit homme, noir, beau garçon, gentil, plein d’instruction, plein de talent, et dessinant bien." (“L'autore è un piccolo uomo, scuro, bel ragazzo, gentile, pieno di istruzione, pieno di talento e disegna bene”). Una descrizione che non si limita all’aspetto fisico, ma coglie la profondità del suo talento e della sua cultura.
Nato nel 1761 a Saint-Pol-sur-Ternoise, Bacler d'Albe coltivò fin da giovane una passione per il disegno e la geografia. Questa combinazione di talento artistico e precisione scientifica lo rese uno dei cartografi più innovativi del suo tempo. Tra il 1798 e il 1802 realizzò la prima carta completa d’Italia, Carte générale du théâtre de la guerre en Italie et dans les Alpes, una serie di 52 fogli in scala 1:256.000. Questo ambizioso progetto, voluto da Napoleone, non era solo uno strumento militare, ma un'opera che riuniva la complessità geografica dell’Italia in un'unica visione coerente.
La cartografia di Bacler d'Albe non nasce nel vuoto, ma si inserisce in una tradizione più ampia che affonda le radici nel Rinascimento e nell’Illuminismo. L’arte della cartografia ha sempre unito tecnica e visione. Già nel Cinquecento, grandi cartografi come Gerardus Mercator e Abraham Ortelius avevano rivoluzionato la rappresentazione geografica, creando mappe che non solo fornivano dati precisi, ma anche un’estetica raffinata. Bacler d’Albe, secoli dopo, riprese questa tradizione, affinando la resa dei rilievi con ombreggiature e prospettive che ricordavano gli studi di Leonardo da Vinci sulla morfologia del territorio. Come i maestri rinascimentali, comprese che la cartografia non era mera misurazione, ma uno strumento per visualizzare il mondo con profondità e intuizione.
Allo stesso tempo, il suo lavoro si inseriva perfettamente nell’ideale illuminista della conoscenza. L’Illuminismo esaltava la scienza e il metodo razionale come strumenti di progresso, e Bacler d’Albe tradusse questa visione nelle sue carte. Con una precisione quasi matematica, costruì mappe che non erano solo strumenti militari, ma veri studi scientifici del territorio. Ogni dettaglio, dalle montagne alle vie di comunicazione, era pensato per fornire una comprensione esatta dello spazio e della sua organizzazione.
Se Mercator e Ortelius avevano tracciato un nuovo modo di vedere il mondo, Bacler d’Albe raffinò ulteriormente quella prospettiva, rendendo la cartografia un ponte tra arte, scienza e strategia. Non era solo il cartografo di Napoleone: era un erede della tradizione rinascimentale e un custode dello spirito illuminista, un uomo che vedeva nelle mappe non solo il presente, ma la costruzione del futuro.
Dopo aver svelato ogni angolo della penisola con la sua mappa, Bacler d'Albe rivolse il suo genio all’intero continente, dando vita alla maestosa Carte de l’Empereur (1809-1812), una rappresentazione dell’Europa in scala 1:100.000. Se la carta d’Italia aveva fornito una visione chiara dei territori, la Carte de l’Empereur rappresentò un passo decisivo nella concezione cartografica: non più soltanto uno strumento tattico, ma una vera e propria visualizzazione dell’Europa napoleonica, studiata per integrare strategia e amministrazione. La sua precisione era tale che Napoleone la consultava personalmente, affidandole la pianificazione dell’esercito e dell’organizzazione imperiale.
Nel settembre 1804, riconoscendone il valore, Napoleone nominò Bacler d'Albe capo dell’ufficio topografico, definendolo il suo cartografo imprescindibile. Con la sua maestria artistica, trasformò montagne e valli in rilievi tridimensionali su carta, dove ogni dettaglio del territorio prendeva forma con una precisione quasi pittorica. Le sue mappe, lontane dall'essere semplici strumenti di orientamento, erano opere d’arte tecniche che fondavano la conoscenza geografica sulla percezione visiva.
Dal punto di vista storico-cartografico, vari studiosi hanno analizzato la connessione tra arte e cartografia, mettendo in luce il ruolo rivoluzionario di Bacler d'Albe nel rappresentare paesaggi e territori con una visione profondamente estetica e al contempo scientifica. Questo equilibrio tra bellezza e funzionalità ha influenzato profondamente le mappe napoleoniche, e più in generale, la cartografia moderna.
Quando Napoleone, ormai prigioniero a Sant’Elena, scrisse le sue volontà testamentarie, la sua mente tornò ancora a Bacler d'Albe. Tra le ultime raccomandazioni affidate al generale Bertrand vi era quella di utilizzare le sue mappe per istruire il Re di Roma, suo figlio. Questo dettaglio è rivelatore: Napoleone non vedeva Bacler d’Albe solo come un tecnico, ma come un mentore, un uomo le cui conoscenze avrebbero potuto formare un futuro sovrano.
Napoleone trasformò l’Europa con la sua visione, e Bacler d’Albe gli diede gli strumenti per tracciare quell’ambizione su carta. Dove l’Imperatore comandava, il cartografo disegnava il futuro di un continente. La storia non si scrive solo con le battaglie, ma anche con le mappe che le guidano, e Bacler d’Albe, con il suo spirito rinascimentale e illuminista, tracciò il percorso di una nuova epoca.
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Capita praticamente tutti i giorni di ascoltare qualcuno che impreca: “la giustizia in Italia non funziona!”… e come dargli torto? Soprattutto se ci si trova di fronte a un cittadino che da anni, forse da lustri, sta aspettando una sentenza in una causa, civile o penale che sia, o per una denuncia presentata o ricevuta; è gioco facile, a quel punto, additare nei giudici o nei magistrati la causa di tutti i mali.
Ma non è così, o almeno, non sempre è così.
I padri costituenti vollero chiaramente e con fermezza l’autonomia del potere Giudiziario rispetto agli altri due poteri dello Stato, quello legislativo (Parlamento) e quello esecutivo (Governo), indicandone nel Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) l’organo di autogoverno. Per questo motivo il Ministero di Giustizia, in Italia, non ha competenza nel processo giudiziario e nella nomina di giudici e magistrati. Ma il Ministero, quindi il Governo, ha competenze altrettanto importanti e determinanti per l’amministrazione e, quindi, per il funzionamento della macchina giudiziaria. Innanzitutto può emanare Leggi attraverso l’uso (anzi, oggi direi l’abuso!) del Decreto Legge; poi può decidere ispezioni presso tutti i tribunali e gli uffici giudiziari; infine è responsabile di parti determinanti dell’apparato giudiziario, attraverso i suoi dipartimenti, che vanno dall’organizzazione ai servizi, al personale, alla giustizia minorile, all’amministrazione penitenziaria.
Quindi se “la giustizia in Italia non funziona” l’analisi è molto più complessa della semplice responsabilità dei giudici… sarebbe come colpevolizzare il postino se la posta non arriva oppure se arriva tardi!
Su questo tema confesso di essere rimasto letteralmente esterrefatto nel leggere (trovando con difficoltà gli articoli sull’argomento poiché sembra non siano notizie da prima pagina!) del completo caos in cui versa attualmente il Ministero di via Arenula, sotto la guida del politicamente discusso Ministro Nordio e, soprattutto, del sottosegretario, con delega alle carceri, Andrea Del Mastro, del quale si ricordano di più una condanna in primo grado e certi “botti” di capodanno!
Fra nomine fatte con qualche dubbio di regolarità procedurali, avanzamenti di dirigenti accompagnati da chiacchiericci su possibili raccomandazioni politiche, decisioni che hanno generato confusione e indiscrezioni nel concetto di “lealtà”, dimissioni e richieste di ritorno in magistratura di alti dirigenti, il risultato è quello di dipartimenti senza guida e, spesso, con un clima avvelenato da un’evidente malagestione. Parafrasando il titolo del noto film citato nel titolo, si potrebbe dire “fuga dal Ministero”! E se tutto questo potrebbe essere, non dico giustificabile, ma almeno comprensibile all’atto dell’insediamento di un nuovo ministro e di nuovi sottosegretari, ritengo sia inverosimile che si verifichi dopo quasi tre anni dal loro insediamento!
Viceversa è fin troppo evidente che un Ministero, soprattutto se parliamo del Ministero della Giustizia, avrebbe bisogno, per essere efficiente, di trasparenza, serenità e collaborazione tra le varie componenti!
Su questo punto ho ricevuto una disperata e accorata segnalazione di un dipendente del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, proprio quello in delega a Del Mastro, che mi evidenzia, carte alla mano, un episodio che definire grave e increscioso sarebbe un eufemismo: in pratica con un DL (appunto!) il Ministero ha istituito una cospicua indennità (che in pratica è un aumento di stipendio!) per il personale in forza presso le carceri escludendo il personale dello stesso dipartimento, con le stesse qualifiche e con mansioni di pari (se non superiori) responsabilità, impegnati in scuole di formazione, nei provveditorati, negli uffici centrali ecc..
Ovviamente il provvedimento è stato impugnato dai dipendenti attraverso il ricorso a un legale per valutare tutte le azioni da intraprendere. Ma non bisogna essere laureati in giurisprudenza per vedere la macroscopica discriminazione del provvedimento, in barba ai Contratti di Lavoro, alla Legge e addirittura alla Costituzione!
Vi lascio immaginare che aria si respiri negli uffici di un Ministero che dovrebbe garantire la serenità a tutti i cittadini e che non riesce, invece, neanche a garantirla fra colleghi di lavoro.
Ecco, la prossima volta, pensiamoci prima di prendercela con… il postino!