Alla ricerca del Mito. La mitologia classica nella scultura di Antonio Canova e nella pittura neoclassica di Pompeo Batoni, Bernardino
Nocchi e Stefano Tofanelli e il prezioso abito di Elisa Baciocchi, nella mostra lucchese di Vittorio Sgarbi.
Le figure mitologiche di Dedalo e Icaro, delle tre Grazie, di Amore e Psiche, di Venere, di Adone, di Ebe e di Ercole rivivono nella perfezione delle forme dei modelli antichi, ma allo stesso tempo si aprono ad una visione nuova della modernità. Antonio Canova è stato un artista geniale, capace di innalzare la scultura sopra tutte le altre arti attraverso il confronto e il superamento della visione austera e distante della classicità, - dimensione mai vinta dal suo antagonista danese Bertel Thorvaldesen - introducendo nei modelli antichi un sentimento fatto non tanto di passione, ma di contemplazione, dove la sensualità e la delicatezza prevalgono sulla materialità e fisicità dei corpi, incarnando perfettamente il pensiero neoclassico, secondo il quale la bellezza
avrebbe dovuto essere avvolta da un aura di purezza.
Sotto lo scalpello di Canova i miti del mondo classico riemergono dall’oblio del tempo, irradiati da una nuova luce e, rigenerati nella bellezza, essi assumono il calore della vita. Lo scultore legge i classici greci e latini, studia la mitologia greco-romana e le vestigia dell’antichità, instaura rapporti con artisti e personalità di spicco della cultura del tempo, come il celebre pittore Pompeo Batoni e Raphael Mengs. Sarà tuttavia l’incontro con l’ideale neoclassico di Johann Joachim Winckelmann, sostenitore della superiorità dell’arte greca su quella romana, che segnerà indelebilmente la maturazione artistica di Canova. Così Roma, culla della civiltà dell’Occidente ed erede della tradizione greco-romana, divenne nel Settecento la principale meta di studio dell’antico, agognata da artisti, letterati e poeti di tutta Europa, alla ricerca insaziabile delle tracce di un mondo ormai perduto, mitico e glorioso, idealmente amato e vagheggiato da sempre nell’immaginario collettivo.
L’antichità, nella città eterna, veniva quindi evocata, idealmente, attraverso le visionarie e nostalgiche incisioni di Giovanni Battista Piranesi, iniziatore con le sue tavole di architetture, paesaggi e ornati, aderenti ad un neoclassicismo romano di ascendenza antiquaria, le quali influenzarono indelebilmente artisti e temi del suo tempo per tutto il corso del Settecento ed oltre. Gli ideali illuministici dei padri del neoclassicismo, resi immortali nell’arte del grande maestro veneto, rivivono dunque nello splendido percorso espositivo della mostra lucchese dal titolo “Canova e il Neoclassicismo a Lucca a cura di Vittorio Sgarbi”, che traccia idealmente una linea temporale partendo proprio dai grandi capolavori di Pompeo Batoni, tra i quali il Ritratto di Abbondio Rezzonico, Senatore di Roma proveniente dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica e la superba coppia di dipinti a tema mitologico, Minerva infonde l’anima alla figura umana modellata in creta da Prometeo; Atalanta piange Meleagro morente, proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Cosi, dopo il grande Batoni, il maestro lucchese maggiormente celebrato in questa mostra, con una ricca selezione di opere, è Bernardino Nocchi. Canova commissionò a Nocchi l’opera Alexandrine de Bleschamps come Tersicore, nella quale il pittore raffigura minuziosamente la Tersicore canoviana, secondo le
precise indicazioni del maestro veneto. Degno di menzione inoltre, tra gli autoritratti, è quello di Stefano Tofanelli, allievo dello stesso Nocchi e tra i maggiori artefici neoclassici lucchesi del suo tempo, il quale prestò magistralmente la sua opera anche nelle arti applicate prima e durante il governo napoleonico di Elisa Baciocchi. Si tratta del pregevole Autoritratto di Tofanelli, con il fratello Agostino, il padre e Bernardino Nocchi, conservato al Museo di Roma.
Si segnalano, inoltre, il pregevole busto in marmo di Elisa Baciocchi di Lorenzo Bartolini e quello di Vecchio di Vincenzo Consani, il piccolo ritratto della pittrice livornese Matilde Malechini che raffigura Madame Le Bon e quello dell'ingegner Giuseppe Clerici di Francesco Hayez, massimo esponente della pittura romantica italiana.
Le opere del maestro veneto, provenienti principalmente dalla gipsoteca di Possagno, sono dunque presentate al grande pubblico in rapporto con i maggiori esponenti della corrente neoclassica lucchese e non solo, in un dialogo del tutto inedito e suggestivo, che accosta la pittura alla scultura e abbracciando anche la moda del tempo, in un connubio di valori universali di cultura, di bellezza e di eleganza in cui le plasticità chiaroscurali, il bianco candore delle figure dello scultore veneto, e le evanescenti preziosità estetiche dell'Ensemble di corte appartenuto ad Elisa Baciocchi, - costituito dall’Abito e dal Manto - il quale rappresenta la massima espressione del Primo Impero francese, si incontrano e si fondono in un idillio pregnante d’immortalità.