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Scritto da josette sedami agbo
Cultura
16 Marzo 2022

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Nella memoria collettiva sono rimaste - prevalentemente come simbolo delle grandi rivoluzioni - soprattutto figure maschili pro-black che hanno abbattuto, in piccola parte, alcuni stereotipi atavici nei confronti delle persone nere; ma ci sono state anche donne che, con la loro arte e la loro forza, hanno gettato le basi per un cambiamento. 

La storia è costellata di esempi simili: eroine, senza mantello o poteri magici, che sono scese in piazza - non aspettando che qualcuno, al posto loro, mutasse le cose. Queste 'guerriere' hanno dovuto combattere, non su uno, ma bensì su due fronti: da un lato, dovendo fare i conti con l'essere "donne" che, in qualsiasi epoca, non è mai stato facile; dall'altra, con l'essere "nere", ovvero del colore 'sbagliato' nell'imperante (e aberrante) cultura maschilista basata sul mito della superiorità dell'uomo bianco.

Ecco perché è giusto, oggi più che mai, ricordarle. A Lucca, il 13 marzo, si è tenuta a Palazzo Ducale, in Sala Tobino, l'inaugurazione della mostra "Four Women" dell'artista Chiara Cinelli, organizzata dalla Città delle donne Odv e dalla provincia: una serie di dipinti/ritratti di quattro donne attiviste per i diritti civili, diverse tra di loro, ma unite per il segno indelebile lasciato nella cultura afroamericana (e mondiale) attraverso l'arte. 

Ad accompagnare questa esposizione dell'artista, nel giorno di apertura, c'erano anche Roberta Ferrari, professore di letteratura di inglese presso l'università di Pisa, Maria Teresa Leone, consigliere con delega alle pari opportunità, e Michela Lombardi, cantante jazz, accompagnata da Andrea Garibaldi al piano.

"Four women", come mai questa scelta? Lo spiega direttamente Chiara: "La mostra prende spunto dal titolo di una canzone di Nina Simone, icona a cui sono particolarmente affezionata e che ho voluto omaggiare". Il testo del brano, pubblicato nel 1966, è estremamente malinconico, ma ribolle di rabbia. Il pezzo le costò molte critiche anche all'interno della stessa comunità nera e racconta la storia di quattro donne afroamericane: Sarah, Saffronia, Sweet thing e Preaches. 

L'arte dà voce a lei, cantante fragile e sensibile, attivista orgogliosa e tenace; così come a Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura; a Alice Walker, prima scrittrice afroamericana a vincere premio Pulitzer per la narrativa grazie al romanzo 'Il colore viola' (di cui si ricorda la memorabile trasposizione cinematografica di Steven Spielberg); e, infine, a Maya Angelou, una delle più grandi poetesse americane del '900.

Il coraggio di tutte loro di prendere posizione, di schierarsi apertamente e di denunciare ciò che non andava, ha permesso i piccoli (ma grandi) cambiamenti che sono avvenuti fino ad oggi, con la consapevolezza, però, che la strada da fare è ancora lunga e che bisogna continuare a lottare per il superamento completo di certi pregiudizi. A loro va comunque il merito di aver tracciato un solco ed aver infuso grande forza per superare certe avversità.

Umiliazione, margine, voce, memoria, razzismo, schiavitù, dignità: sono tutti temi che ci pongono domande serie e profonde riflessioni, ma basterà veramente questo perché le persone diano alla cultura black il rispetto e la dignità che merita?

Inutile nascondersi dietro il finto perbenismo dell'integrazione e il velo opaco dell'ipocrisia, quando certi preconcetti non si sono ancora superati, e chissà se lo saranno mai: certo, la speranza è l'ultima a morire. Personalmente, dopo anni che vivo in un continente che non è quello nativo, vengo ancora percepita come qualcosa di diverso. Sinceramente non mi interessa, mi piace il mio color cioccolato e sono fiera di essere nera.

Come dice la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie: "Non è la cultura a fare le persone, sono le persone a fare la cultura".

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