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Scritto da andrea cosimini
Enogastronomia
26 Novembre 2022

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Cristiano Tomei è uno che non le manda a dire. Schietto, diretto, sincero. Un po’ provocatore, un po’ istrione, un po’ goliardico. Ma sempre lui è. Così come lo vedete. Trasparente. E poteva essere diversa la sua cucina? No. Tale e quale. Genuina, semplice, gustosa. C’è poco da inventare o, peggio ancora, da rivisitare. “Pane al pane, vino al vino” diceva un vecchio proverbio.

Perché complicare le cose? Tomei è per i piatti che non richiedono un libretto di istruzioni per essere mangiati. Non sopporta le stupidate che circolano nel mondo della cucina, le mode dietro ai fornelli, i fronzoli e gli orpelli. È per la tradizione, ma non è un nostalgico. Anzi. È uno che ha delle radici solide. È ben diverso. Radici che affondano nelle sue origini viareggine, innanzitutto. Poi, familiari e affettive.

Oggi Cristiano Tomei ha 48 anni ed è uno chef stellato. Ha iniziato come cuoco – 21 anni fa - al ristorante ‘L’Imbuto’ a Viareggio, poi si è spostato a Lucca, nelle sale espositive di un museo di arte contemporanea, ed infine si è stabilito nella cornice del meraviglioso Palazzo Pfanner.

È da poco fuori con un libro autobiografico che ha come titolo:
“Mio nonno mi portava a fa’ gli erbi”, edito da Rizzoli (collana BUR) e con prefazione di Eleonora Cozzella. Lo ha presentato ieri al Gran Caffè Margherita sul viale Regina a Viareggio dialogando con il naturopata etnobotanico – nonché amico e compaesano - Marco Pardini.

Tomei, per l'occasione, ha dato sfogo a tutto il suo campionario. Ha parlato di sostenibilità: “Svegliamoci dal torpore del benessere – ha tuonato -. Il frigorifero è l’anticamera della spazzatura. Comprare e consumare vuol dire essere sostenibili”. Ha smontato certi luoghi comuni in cucina: “Risottare la pasta è un atto incivile – ha sentenziato -. Oggi c’è l’angoscia della cremina. Invece la pasta buona è quella fatta di semola e non ha bisogno di rilasciare tutto quell’amido in padella. E il ragù? State alla larga da chi ve lo cucina in dieci minuti. Il sugo di carne deve cuocere tanto. Il pane caldo? Non si mangia mai. Il più della cottura si fa fuori dal forno. Il pane deve riposare. E non va buttato. Il pane nasce, muore e risorge (sotto forma di pan grattato, pappa al pomodoro o birra)”.

Domandarsi il perché si fanno le cose. Anche su questo Tomei ha insistito: “Sapete perché si fa il soffritto? – ha chiesto – Per una ragione sanitaria. Unito alle erbe aromatiche, diventa un disinfettante”. E dei ristoranti ‘fusion’, che ne pensa? “Divento un serial killer quando sento questa parola – ha sbottato -. Le ricette tradizionali che abbiamo già risentono di tutte le influenze straniere. Livorno, ad esempio, è stato un crocevia di culture e la parola ‘cacciucco’ viene proprio dall’arabo. Così come la pasta di grano duro. Sapete perché si è diffusa a Genova e Napoli? Perché questo grano è arrivato in questi due grandi porti dalla cultura musulmana”. Infine Tomei ha annoverato il risotto alle seppie della darsena nel patrimonio Unesco.

Noi lo abbiamo avvicinato, poco prima della presentazione, per una breve intervista esclusiva:

Cristiano Tomei, cuoco o chef?

“Cuoco e anche chef, tutti e due”.

Di cosa parla il suo libro?

“Parla del perché si fanno le cose. In Italia non ce lo si domanda mai ed invece è giusto farlo”.

Quanto ha influito il nonno Elio nella sua cucina?

“Ha influito su tutto. Così come influiscono i figli, gli amici, il carnevale… La cucina è una parabola della vita”.

E Viareggio?

“Beh, importantissimo. È la mia vita. Le mie radici sono qua. Poi Lucca, che è arrivata dopo. È stata anch’essa molto importante per me ed ha avuto uno spazio sempre crescente nella mia vita”.

Come nasce il rapporto con Marco Pardini?

“Con Marco ci si conosce da tanto tempo. Tra noi c’è un rapporto di scambio reciproco, di passione. E questo è molto importante. Oltre a condividere la stessa appartenenza alla Versilia”.

E con gli erbi?

“Sicuramente molto tempo prima che io e Marco ci si conoscesse. In pratica, quando sono nato”.

Andrea Cosimini


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