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Scritto da aldo grandi
Enogastronomia
22 Maggio 2023

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In quello che doveva essere e non è stato, l'ultimo giorno con toccata e fuga, nella capitale romana, sbarcati di venerdì con un tempo da lupi, in realtà si è trasformato, la domenica mattina, in un giro piacevole gastronomico e non solo nei quartieri di Aurelio, Trastevere e Borgo Pio. A volte gli imprevisti diventano se non delle probabilità come al Monopoli, delle vere e proprie opportunità. E così, quando sbagli la data di arrivo perché l'avevi prima spostata e, poi, confermata dimenticandoti, però, di avvisare della doppia modifica, può capitare di doversi adattare e trascorrere una notte in un appartamento che mai e poi mai avresti trovato o anche solo prenotato. Via Aurelia 336, un pièd à terre che a Lucca nemmeno a trascorrerci un paio d'ore sotto un temporale e, invece, a Roma, una tappa ideale per raggiungere in quattro e quattr'otto il centro città. Per chi non conosce Roma, il quartiere Aurelio è ricco di edifici di proprietà del Vaticano, ma tutta Roma lo è, anche se qui siamo veramente a un tiro di schioppo per dire di sputo dal cupolone e da piazza San Pietro. Problemi di parcheggio? Certamente, ma nel fine settimana, tra sabato e domenica, evidentemente anche i vigili urbani latitano e si può lasciare la vettura in sosta anche dove, in genere e in altre città, non lo si farebbe mai.

Ci hanno sistematicamente fracassato gli attributi i sostenitori delle più devastanti catastrofi climatiche e, in particolare, con l'assenza di pioggia che, a sentir loro, anche in questa stagione primaverile-estiva avrebbe assillato le nostre esistenze. In realtà un maggio come questo, a Roma, non si vedeva da tempo e provate a domandare agli organizzatori del torneo di tennis Atp 1000 del Foro Italico: incontri sospesi e rinviati, spettatori trasferiti e incazzati. 

Comunque sia la domenica 21 maggio un pallido sole ha accolto le strade inizialmente semi-deserte della capitale e dopo una serata trascorsa al Portico d'Ottavia e una robusta colazione con vista sulla cupola di San Pietro a base di uova strapazzate e non solo, tuffo in una Porta Portese con accesso da viale Trastevere, giustappunto qualche centinaio di metri dopo il ministero della Pubblica (d)Istruzione.

A metà anni Ottanta e anche un po' prima, eravamo soliti svegliarci nel cuore della notte, noi che abitavamo al quartiere Prati, caricare l'auto del papà pressoché ignaro o, comunque, tollerante, e puntare dritto verso Porta Portese dove, con 5 mila lire, acquistavamo il diritto di poter esporre tutta la mattina la merce che volevamo vendere e che avevamo rimediato in casa e un po' di qui e un po' di là. Piazzammo una collezione di dischi 78 giri di opere liriche che avevamo ereditato da un nostro zio tipografo che, negli anni Trenta, aveva lavorato alla Gazzetta del Popolo di Torino salvo, poi, sposarsi con una tale Zuara - nome di una località della Libia che durante la campagna di Abissinia venne appioppato a numerose neonate - nata e cresciuta a Livorno. Tra gli acquirenti del materiale - rammentiamo le etichette de La Voce del Padrone che raffiguravano un Jack Russell Terrier intento ad ascoltare musica da un grammofono - ci fu anche Nini Rosso, celebre trombettista autore di un disco di grande successo quando incise nel 1965 il brano strumentale de Il silenzio, che piombò una mattina di buon'ora. A Porta Portese, infatti, c'era e, forse, ci sono ancora, gli appassionati che ogni domenica mattina presto fanno un salto nella speranza di fare qualche buon affare. Altre volte incontrammo Renzo Arbore e Mara Venier. 

In realtà, oggi Porta Portese ha perso un po' del fascino di quel tempo, quando chiunque poteva improvvisarsi venditore ambulante anche solo per una domenica. Per noi era e fu una delle esperienze più significative della nostra post-adolescenza, ci piaceva trattare sul prezzo, guadagnare qualche soldino con cui, poi, andare a cena la sera o anche acquistare i libri che compravamo nei negozi di testi usati che a Roma non mancavano mai. 

Roma così come Porta Portese si sono, ormai, africanizzate e asiatizzate. La stragrande maggioranza dei venditori è tutt'altro che di origine romana e tutto questo imbastardimento ha reso questa città una unica, immensa mangiatoia senza più identità riservata a frotte di turisti il cui unico interesse è girare, girare e girare senza nemmeno sapere perché. Una enorme Babilonia senza più alcun senso di appartenenza dove è impossibile vivere se non a prezzo di rinunce che non saremmo più disposti ad accettare.

Ciònonostante torniamo, puntualmente, almeno due volte l'anno, giusto perché i ricordi sono peggio delle calamite: attirano, attirano e per staccarsi bisogna strapparsi un po' la pelle di dosso. Oggi a Porta Portese è tutto, giustamente, programmato e regolarizzato. Deve esistere una sorta di registro e ogni tavolo reca un adesivo con tanto di numero e lettere. Alle 11 è già impossibile camminare se non a rischio di sbattere contro chi ci precede o anche contro chi ci segue.

Sabato, dopo una estenuante visita storico-culturale al parco archeologico del Colosseo con Foro Romano e Palatino oltre ai Fori Imperiali, pranzo non si sapeva bene dove. Parcheggio, vista la contemporanea presenza, in serata, del concerto di Bruce Springsteen al vicino Circo Massimo, nell'area di sosta adiacente lo stadio di atletica leggera delle Terme di Caracalla. che durante il week-end è pressoché vuoto. 

Una volta giunti, sfatti, a Largo Argentina, eccoti, lato via delle Botteghe Oscure, una vetrage al di là della quale una donna sta preparando pasta fresca. Aspetto invitante, quello della pasta ovviamente, dagli strozzapreti agli spaghetti agli gnocchi. Il ristorante, visibilmente turistico, si chiama Pasta e Vino Come 'na Vorta. Se non avessimo visto la pasta fatta a mano e in casa mai saremmo entrati, ma...

Dentro è quasi full-up. Una macchina da guerra, ovviamente, ma c'è efficienza e la pasta servita in tavola in tegami di alluminio è una bella presentazione. E, infatti, non ci sbagliavamo. Supplì abbastanza buoni anche se la mozzarella non è completamente squagliata come dovrebbe essere, segno che sono stati tolti dall'olio bollente qualche secondo prima del necessario. Carciofi alla giudia e alla romana, 7 euro e 50 centresimi l'uno, un bel piatto di cicoria saltata in padella e, subito dopo i suppli, uno spago cacio e pepe da favola e da... scarpette a raffica e strozzapreti alla matriciana con il pomodoro che merita un 10. Davvero niente male per un locale situato in uno dei punti più turisticamente invasivi di Roma e pasta top. 

Tornando alla domenica e prima di rimettersi in viaggio, una tappa a Borgo Pio per acquistare una maglietta da regalare con su scritto Sti cazzi, proverbiale modo di dire e di rispondere in romanesco a chi insiste o pretende qualcosa da qualcuno. C'è un ristorante di cui nemmeno conoscevamo l'esistenza, ma potremmo con tutti questi locali?, si chiama al Mascherino e ha anche un simpatico e piccolo déhors. Quello che ci attira, tuttavia, è anche la scritta col gesso sulla lavagnetta che solo a Roma una mente geniale può partorire e che ci infonde la speranza che ancora qualcosa, di questa città, sia destinato a rimanere eterno: "Co 80 grammi de pasta te posso dì solo se è cotta!!"

Alla faccia di tutte le nouvelles cuisines di questo mondo con le loro porzioni lillipuziane. Finalmente qualcuno che capisce come 80 grammi di pasta siano una bestemmia gastronomica più adatta ai radical chic-choc che albergano nelle capitali del nord-Europa.  

Rigatoni alla carbonara fatti come mamma li sa fare e il cui sugo è roba da sturbo e, anche, uno spaghetto aio, oio, peperoncino e alici con spuzzata di prezzemolo, il tutto mantecato da dio. Ma che je voi dì a un piatto del genere? Se non fosse che questo week-end ha rappresentato una sorta di messa all'ingrasso e anche all'ingrosso, ci tufferemmo nei saltimbocca alla romana, ma ci limitiamo ad una Caesar salad di normale fattura.

Ha ragione Antonello Venditti, Roma non si discute si (ama) mangia.

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