Anno XI 
Giovedì 12 Giugno 2025
- GIORNALE NON VACCINATO

Scritto da giancarlo affatato
Politica
10 Giugno 2025

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I referendum su lavoro e cittadinanza hanno mancato il bersaglio. Poco più del trenta percento degli aventi diritto al voto, infatti, si è recato alle urne. Ben al di sotto del quorum richiesto (cinquanta percento più uno) per la validità della consultazione. E’ noto che  viviamo in una nazione vocata alla retorica e saranno senz'altro in tanti quelli che, in queste ore, si saranno cimentati  in analisi e commenti sul numero degli elettori andati a votare, per dare un senso ed un ausilio alle loro tesi. Intendiamoci: non è questo il primo referendum nullo e si teme che non sia neanche l'ultimo, visto l'uso e l'abuso che si è fatto di questo striumento dal dopoguerra ad oggi. Alcuni di essi hanno sancito svolte epocali come quelli sulla scelta tra monarchia e repubblica e poi il divorzio, sull'aborto, sul nucleare, sui poteri costituzionali,  altri sono miseramente naufragati (caccia, bicameralismo, libertà economiche, cittadinanza). E tuttavia in larga parte i referendum si sono rivelati uno strumento di propaganda: una modalità per porre l'accento su questioni e controversie irrisolte, oppure aventi esito negativo nelle sedi parlamentari. Dietro questa usanza, spesso utilizzata da coloro che non governano (le minoranze parlamentari) e che non si rassegnano alla sconfitta, serpeggia un malinteso senso della democrazia. Ed in effetti si ricorre al referendum per sostituire la democrazia parlamentare con quella popolare ed assembleare, ossia esercitata direttamente dai cittadini, senza intermediazione o decisione dei rappresentanti del popolo nelle istituzioni. Un'idea sbrigativa quanto semplicistica di concepire la democrazia che andrebbe a conclamare l'inutilità del Parlamento e della  sua prassi decisionale. Un corto circuito tra la volontà espressa dal popolo nel gran segreto dell'urna per eleggere i parlamentari  e la volontà dello stesso popolo di poter assumere decisioni dirette bypassando chi pure lo rappresenta. Un'idea che si appella dunque alla sovranità popolare nella sua forma più immediata ma che alla fine arriva a rinnegarla contrastando la scelta costituzionale di fondo di instaurare una democrazia basata sui partiti e sui gruppi parlamentari che si esprimono nelle aule di Camera e Senato. Un'altra considerazione negativa sull'uso del referendum origina dal fatto che la decisione assembleare diretta non tiene conto della principale virtù delle leggi, ossia della mediazione necessaria tra le parti in causa. Mentre infatti una legge vede la luce solo dopo varie discussioni, serrati confronti, emendamenti e votazioni lungo un iter parlamentare delicato e complesso, incastonato nel cosiddetto bicameralismo perfetto, con il referendum invece, la logica diventa binaria: un sì oppure un no e nessun spazio per forme mediate del testo licenziato dal Parlamento. Per dirla tutta: una dose di qualunquismo radicale, di antagonismo senza rimedio, prende il sopravvento. Una sorta di "prendere o lasciare" che diventa, oltre che divisivo, anche abbastanza approssimativo allorquando le questioni sul tavolo sono di natura complessa, spinosa e controversa. Il risultato è quello di esacerbare gli animi delle fazioni in campo e di disconoscere, alle leggi più delicate (ad esempio quelle che riguardano la sfera etica), la possibilità di potersi collocare in un punto di compromesso. Ed in una nazione dove già i termini del confronto tra maggioranza ed opposizione sono esacerbati dalla politica di contrapposizione espressa "a prescindere" da quel che il governo propone, ecco che l'istituto referendario poco si presta a determinare risvolti positivi ed equilibrati della specifica contesa. Non a caso la lotta al parlamentarismo è sempre venuta da forze contrarie al sistema, forse sorte come anti-politiche oppure come sedicenti "rivoluzionarie". In questo senso il referendum viene trasfigurato come un grande sondaggio di opinione commissionato, a spese del contribuente, da coloro che in un determinato periodo siedono all'opposizione in parlamento. Non è lontano dal vero che tale sia stato lo scopo inconfessato dei proponenti i cinque quesiti snobbati l'8 e il 9 giugno dagli elettori, sia perché quelle leggi che ci si proponeva di abrogare erano state varate da precedenti governi di centrosinistra, sia perché si è voluto fare una prova di valore per il "campo largo". Per giungere alla solita manfrina: "siamo maggioranza nel Paese" e quindi "questo esecutivo non è più legittimato a governare". Roba che sa di vecchio espediente, riproposta da coloro che si dicono espressione del nuovo e del buono. Ma così non è affatto. La propaganda è cosa ben diversa dalla democrazia.

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