aldo
   Anno XI 
Martedì 2 Settembre 2025
scrittore
scrittore2
aldo1
scrittore1
scrittore3
scrittore4
scrittore5
storia
storia2
Spazio disponibilie
storia1

Scritto da Luciano Luciani
StoricaMente
31 Agosto 2025

Visite: 391

Annus mirabilis, il 1960, sessantacinque anni fa. Soprattutto l'estate, stagione intensa e fervida di promozioni. Di ogni tipo: quella della famiglia Luciani che, con la prima villeggiatura extra moenia, si fa da quasi proletaria finalmente borghese piccola piccola; promozione della politica italiana che, soprattutto per l'inopinato protagonismo degli operai e dei giovani, i ragazzi con le "magliette a strisce", chiude a destra e apre a sinistra; quella di un'immagine: Roma tirata a lucido come non l'avevo mai vista perché sede dei Giochi della XVII olimpiade dell'era moderna: poi, last but not least,  la mia promozione personale in prima superiore, in virtù di un esame di riparazione a settembre che mi restituì, con gli interessi, l'onore scolastico malamente perduto a giugno.

Meglio di così...

Comunque, i maledetti esami di riparazione qualche conseguenza negativa sulla mia vita di adolescente la ebbero eccome: non permisero che mi godessi a pieno la mia città che indossava il vestito della festa per accogliere degnamente migliaia di giovani atleti che convenivano da tutto il mondo nella Città Eterna per partecipare a questo agone competitivo planetario e centinaia di migliaia, forse milioni, di visitatori che sarebbero giunti a Roma per abbinare passione sportiva e turismo. L'inaugurazione, prevista per il 25 agosto, e il successivo periodo delle gare che sarebbe durato fino all'11 settembre, coincideva proprio con la fase acuta del mio purgatorio scolastico e ne rappresentava il giusto contrappasso: chi per una pretesa ambizione sportiva - il gioco del calcio -  aveva messo in discussione la qualità dei propri studi e il necessario impegno loro dovuto, come mi era accaduto, sarebbe stato privato dell'evento agonistico per eccellenza di quelli che capitano una volta sola nella vita. 

In quei giorni di fastidiosi ripassi di forme attive, passive e deponenti dei verbi latini e di regole sintattiche mandate a mente costi quel che costi, ho memoria di un'unica lunga passeggiata, naturalmente a piedi andata e ritorno, coi miei coetanei Francesco, il mio dirimpettaio, e l'inseparabile Roberto. Meta prefissata prendere visione del Villaggio Olimpico, un complesso residenziale di 1438 appartamenti, tra le collinette di Monti Parioli e Villa Glori che avrebbe ospitato per tre settimane la "meglio gioventù" sportiva del pianeta. Un'opera considerevole, anche tenendo conto che fino a pochi mesi prima al posto del Villaggio sorgeva il Campo Parioli, caotico agglomerato di baracche con le sue centinaia di miserevoli abitatori velocemente trasferiti chissà dove. M'impressionò l'asse di scorrimento di Corso Francia: Gesù, com'era lungo quel chilometro che scavalcava il Tevere sul ponte Flaminio. A farlo a piedi sembrava non finisse mai...

Ricordo poi il motivo conduttore, la sigla musicale, di quelle giornate olimpiche. Ossessionante: trasmessa per ogni dove, una marcetta corredata da un testo retoricuccio anzichenò, cantata niente meno che da Joe Sentieri, il capostipite dei cosiddetti cantanti "urlatori" assai di moda in quegli anni. Si intitolava Welcome to Rome e iniziava così: Welcome to Rome / Welcome to Rome / ti salutiamo, o gioventù di tutto il mondo. / Ti salutiam e ti doniam / del nostro sole lo splendor... E via di questo passo, inanellando in italiano e inglese ampollosità e prolissità per risultati di rara bruttezza

Livio.

Com'era fluida, composta, veloce la falcata di Livio Berruti in quel tardo pomeriggio del primo sabato del settembre '60!

Alto, elegante, leggero quel ragazzo di vent'anni, con larghi occhiali neri che gli coprivano il viso, ancora prima del colpo sparato dallo starter, con il linguaggio del corpo lasciava chiaramente intuire chi sarebbe stato il prossimo campione olimpico nella specialità dei 200 metri piani. Una sicurezza che non era boria, non era arroganza, ma piena consapevolezza nei propri mezzi, maturata in ore e giorni di allenamenti, noiosi, ripetitivi, sempre uguali. La sua tranquillità, la certezza nella imminente vittoria trapelava dai gesti, pacati, rilassati con cui il "mio campione" prendeva posto nella buchetta di partenza. Un falso via, poi quello giusto. E io lo sapevo, l'ho sempre saputo durante tutti quei 20'5 secondi in cui è durata la corsa, che se Livio avesse battuto i primatisti della distanza, l'inglese Radford e gli americani Norton e Johnson, allora anche i miei prossimi esami di riparazione, spalmati secondo un convulso calendario scritti-orali di lì a pochi giorni, non sarebbero potuti andare male. Tra me e lui, tra la sua gara e la mia, tra il parterre dello stadio Olimpico e la mia stanzetta calda e sudata in un appartamento del quartiere Trieste-Salario c'era un nesso magico, un legame portentoso e stregato. Basso più che basso il volume del televisore, per dare a tutti l'impressione di essere alle prese coi misteri tormentosi delle perifrastiche passive, ero invece totalmente immerso nei preparativi della partenza, nella tensione della gara, nella gioia della vittoria che era già tutta nello scatto della partenza.

Come io già ben sapevo.

Negli anni successivi mi sono spesso interrogato, riproiettandomi quel film nella testa di adolescente o di adulto, magari già ampiamente adulto, la ragione di quella strana, intensa, piena felicità del momento.

In fondo cosa me ne importava? Spirito di appartenenza? Ma se non sono stato mai né un patriota, né un nazionalista! E neppure un tifoso particolarmente acceso per l'azzurro in nessuna specialità sportiva, a partire dal calcio. Forse era solo l'ammirazione incondizionata per una manifestazione in cui poteva dispiegarsi in tutta la sua pienezza l'armonia, l'equilibrio, l'euritmia? Che c'entrassero in qualche modo pure gli studi classici, le letture dell'Iliade e dell'Odissea e tutta quella lingua dei Romani antichi, tradotta per tre anni sia pure obtorto collo? Questo so: di un'occasione rara di allegra, pura, purissima esultanza e di come quelle immagini, le immagini di quella gara, abbiano costituito per anni, sino a oggi, spesso, i miei pensieri di fuga prima di addormentarmi. 

Pin It

RICERCA NEL SITO