Le letterature d’ogni tempo e paese sono fitte di testimonianze dell’aspirazione umana a vivere in un mondo senza guerra, il più feroce dei mali uscito dal mitico vaso di Pandora, peggiore anche della carestia, delle epidemie, dei terremoti…
Però, per vedere il primo movimento per la pace coerente e organizzato agire sistematicamente sulla pubblica opinione internazionale nel tentativo di scongiurare i conflitti e le logiche a essi sottese, sarà necessario attendere sino all’indomani delle guerre napoleoniche e degli sconvolgimenti da queste provocate.
Sarà il mondo del non conformismo religioso di lingua inglese la culla della nuova sensibilità che, con alterne fortune, percorrerà l’intera storia mondiale sino ai nostri giorni.
Nel 1815 il quacchero L. Lodge con la Società della Pace di New York fonda quella che è probabilmente la prima associazione pacifista della storia, riproposta a Londra un anno più tardi da William Allen e da un gruppo di evangelici, per la maggior parte quaccheri: la Società inglese della Pace, impegnata a far conoscere la natura profondamente anticristiana della guerra, nei suoi programmi prevedeva una riduzione generale degli armamenti, una corte internazionale di giustizia e il ricorso all’arbitrato per tutti quei nodi politici e strategici che, fino a quel momento, erano stati sciolti col ricorso alle armi. John Sikes, storico del quaccherismo, scrive: “I loro argomenti… erano stati selezionati da una serie di scritti che risalivano al diciassettesimo secolo – le idee di Grozio, di Erasmo, da cui aveva liberamente attinto Penn – attingendo al Medioevo, ai Romani, al libro di Michea”.
Nei 1828, nei giovani Stati Uniti si contano più di cinquanta associazioni pacifiste unite nella Società per la Pace, fondata da un intellettuale di spicco come William Ladd e poi guidata da William Jay, presidente della Corte suprema.
Nell’Europa continentale la prima associazione per la pace viene istituita nel 1830 in Svizzera dal conte di Sallon. Sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico si moltiplicano le occasioni d’incontro tra i diversi movimenti per la pace: congressi internazionali pacifisti si tengono nel 1843 a Londra, nel dicembre 1848 a Bruxelles, nel 1849 a Parigi, assise inaugurata da un discorso europeista di Victor Hugo.
Queste convenzioni si chiudevano inevitabilmente con appelli e petizioni inviate ai diversi governi per chiedere che i capi di stato e le cancellerie si accordassero almeno intorno a un sistema di arbitrato internazionale: non ottennero mai risultati immediati e pratici, ma contribuirono potentemente alla diffusione di un nuovo modo di intendere e praticare la politica, ponendo finalmente un’alternativa alla strada, fino a quel momento obbligata, di dirimere le vertenze internazionali solo attraverso la guerra.
A premere in questa direzione erano soprattutto i settori democratici e radicali dell’opinione pubblica europea, che prefiguravano un futuro privo di guerre solo nella progressiva affermazione del principio di nazionalità, in governi fondati sul consenso popolare, nel crollo dei vecchi imperi autocratici: speranze e progetti che vennero ribaditi con forza nel 1867 in occasione del Congresso di Ginevra, promosso dalla Lega permanente per la pace di Federico Passy, a cui partecipò anche Giuseppe Garibaldi, e poi nei Congressi di Berna (1868) e Losanna (1869).
Intanto, accanto ai movimenti di impronta democratico-radicale, cominciava a farsi strada un pacifismo di tipo nuovo, quello di matrice socialista che si opponeva al militarismo e alla guerra in quanto manifestazioni del capitalismo e del dominio di classe: loro assunto la considerazione per la quale “Tutti i popoli sono per la pace, nessun governo lo è”. Ma anche all’interno del movimento socialista il tema della pace doveva incontrare ostacoli e difficoltà a un suo pieno dispiegamento. Per esempio in occasione del Congresso della II Internazionale, tenutosi a Bruxelles nel 1891: quando l’olandese Ferdinand Domela Nieuwenhuis (1848-1919), già pastore della Chiesa luterana dell’Aja poi convertitosi al socialismo, avanzò la proposta che i partiti socialisti si impegnassero a rifiutare il proprio sostegno a qualsiasi conflitto e a ricorrere all’arma dello sciopero generale operaio se non fosse stato possibile prevenirlo. La sua mozione fu respinta.
Due anni più tardi, nel Congresso di Zurigo, lo stesso Nieuwenhuis, a capo della delegazione olandese e sempre più orientato verso un socialismo dalle forti connotazioni pacifiste, etiche, umanitarie e internazionaliste, sottopose all’assemblea lo stesso tema ottenendo un identico esito negativo: e questo nonostante che sulla proposta di “uno sciopero militare nei paesi in guerra, combinato con lo sciopero generale operaio, dovunque il movimento eserciti qualche influenza”, il leader del socialismo olandese avesse raccolto il consenso della maggioranza dei delegati francesi unito all’approvazione di alcune delegazioni minori come l’australiana e la norvegese.
In Italia, l’associazionismo pacifista mosse i suoi primi passi con un certo ritardo rispetto agli altri Paesi europei e bisogna attendere fino al 1878 per assistere alla nascita della Società internazionale di Pace e Fratellanza e dell’Unione lombarda per la Pace e l’Arbitrato, 1891. Le promuove entrambe, Teodoro Moneta (1838-1918), già protagonista delle Cinque giornate milanesi, garibaldino, direttore nel 1867 e per oltre trent’anni del quotidiano progressista e repubblicano milanese “Il secolo”, premio Nobel per la pace nel 1907.