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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
16 Dicembre 2023

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La recentissima scomparsa del professor Tony Negri sollecita a riappuntare lo sguardo sulla nostra storia recente e a ripensare quanto di essa sia stata plasmata dalle teorizzazioni intellettuali e dall’agire rivoluzionario di questo “cattivo maestro”.

A giudicare da un punto di vista ristretto all’oggi potremmo rispondere poco o nulla. Se, però, proviamo a contestualizzare quelle teorie e quella prassi nel clima incandescente degli anni tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta del secolo scorso, la prospettiva cambia radicalmente. Sì, perché questo brillante accademico (il più giovane professore ordinario d’Italia del periodo), che veniva dal cattolicesimo sociale transitando per il Partito socialista per il quale ricoprì anche incarichi amministrativi, intuì che la classe operaia di tutto il mondo sviluppato stava cambiando, non solo pelle, ma natura. Trasformandosi nel lavoratore alla catena di montaggio, deprofessionalizzato, disinteressato tanto agli strumenti della produzione quanto al prodotto del proprio lavoro: l’operaio-massa così ben raccontato nel romanzo di Nanni Balestrini, Vogliamo tutto e nel film di Elio Petri, La classe operaia va in paradiso con uno straordinario Gian Maria Volonté.

La scoperta di Negri, partecipata inizialmente a un ristretto numero di sodali, comportò comunque uno scossone non da poco nei rapporti di potere in fabbrica, nelle ormai consuete e sclerotiche relazioni sindacali, nella coscienza dei partiti della sinistra e nelle sue organizzazioni, mentre il sostegno intellettuale del professore alla violenza di classe e alla lotta armata gettava in una smarrita preoccupazione gli uffici delle questure di tutt’Italia.

Un’avventura chiamata Potere Operaio che si consumò, nel breve arco di cinque/sei anni, mezzo secolo fa e che si esaurì malamente col convegno di Rosolina tra ambizioni, rivalità e dispute bizantine… Ma la vicenda di Tony Negri era appena a metà del suo percorso. Nel ’79, pochi mesi dopo la tragica vicenda Moro, lo Stato si ricordò di Potop, dei suoi protagonisti, delle teorie e delle lezioni del professore veneto e gli presentò un conto salatissimo: l’accusa fu quella di essere la testa pensante di quasi ogni atto della sinistra eversiva in Italia. Da qui una lunga serie di processi e condanne che portarono il professor Negri a scontare quasi dieci anni in carcere e a poco servirono gli appelli in proposito di Amnesty International e le dichiarazioni di Francesco Cossiga, che già ministro dell’Interno e poi presidente della Repubblica, definiva la persecuzione giudiziaria subita da Tony Negri “un prezzo sproporzionato alle sue responsabilità”.

In Francia, a Parigi, per non rimanere in balia degli umori mutevoli della magistratura, Negri non smette di lavorare, pensare, scrivere… E nell’anno 2000 pubblica insieme a Michael Hardt, Impero, giudicato ora come “il libro più influente degli ultimi decenni”, ora “la Bibbia del movimento antiglobalizzazione, oppure “il maggior successo di teoria politica che viene dalla sinistra per una generazione”.

Un‘opera che intende iniziare la Lunga Marcia contro lo schema delle cose indotto dal capitalismo globale. È la rivincita di un intellettuale pessimista, ma lucido e combattivo, contro una visione rassegnata della realtà. Perché non si dimentichi che l’Impero porta dentro di sé gli stessi elementi che potrebbero condurlo alla rovina. Ovvero la moltitudine degli individui che, nelle opportunità offerte dalla globalizzazione, possono ancora trovare gli spazi per una rivoluzione dell’ordine mondiale.

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