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Scritto da vittorio prayer
StoricaMente
08 Novembre 2022

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Come per le Piramidi: fatiche egizie-babilonesi a spostare un immane peso. Diecimila metri di cavi d'acciaio in 18 funi lunghe 560 metri ciascuna per calarlo a valle. Cinquanta tonnellate di legni e 14 di ferri con 3 mila 500 bulloni a proteggerne l'integrità. Settanta quintali di sapone e miriadi di traversine da 80 chili l'una ad ungere e coadiuvare la grande "scivolata". Uomini e buoi a frotte, tra urla e muggiti, ordini e contrordini, imprecazioni e bestemmie, invocazioni e suppliche. Tanta fatica e civiltà di lavoro per una colonna votiva e trionfale che ha la pretesa di rappresentare la potenza umana a simbolo romanico ancestrale di vittoria e immortalità.
Cinque mesi per un trasporto di appena 11 chilometri, da monte a mare. Questo ed altro è stato necessario 93 anni fa, per l'epica "lizzatura" del Monolite...
L'idea di regalare un grande obelisco al Duce viene nel 1927 all'allora presidente dell'Opera Nazionale Balilla Renato Ricci Ras di Apuania. Un gruppo di industriali carraresi è ben lieto di offrire il marmo (che poi diverrà simile ad un fascio littorio stilizzato) per il Foro Mussolini. Pensiero ideale del 1927, ma la ricerca del blocco perfetto e senza una venatura va per le lunghe. Poi il titano grezzo affiora nella cava "Carbonera" proprietà di Cirillo Figaia suocero di Renato Ricci, nel giacimento dei "Fantiscritti" di Mìseglia.
Sul posto, nel corso del 1928, vengono dati i primi tagli col filo elicoidale. Solo nel gennaio del 1929, remoto come l'avessero dissepolto dalle sabbie di Luxor, ecco il Monolite che dall'Alpe Apuana sta per scendere a valle: incassato e inchiodato dentro un'enorme gabbia di legno perché non si scheggiasse. Il gigante è alto 19 metri, con base quadrata di 2,35. Pesa 300 tonnellate, più altre 100 di rivestimento ligneo e ferroso. Blocco candido ed unico,
purissimo, il più grande mai cavato in 2000 anni dai monti di Carrara.
L'impresa è proposta come un autentico trionfo della tecnica italica ed è seguita ed enfatizzata dai giornali dell'epoca per rinnovare memorie ed analogie imperiali. Fasti e ludi della Roma dei Cesari. Un evento propagandistico del regime, al quale assistono migliaia e migliaia di persone.
Nella ribalta delle cave squadre di lizzatori e cavatori salgono a piedi lungo i sentieri di marmo tracciati a serpentina (quasi fossero i disegni di un ubriaco) a ridosso dei "ravaneti". Molti recano contorte sulle spalle le gravose funi d'acciaio. Diversi portano soverchianti rotoli di filo. Altri qualsiasi cosa od utensile "purchè sia utile, ma greve"... Una catena umana di gente indaffarata che pare infischiarsene della fatica. Sul piazzale della "Carbonera" ad 800 metri di altezza, riquadrata a regola d'arte dai tagli al filo, inclinata e sollevata da decine di leve (martini), affacciata sul ciglio dell'abisso, l'immensa balena bianca è pronta per essere trascinata a valle.
"Si tendono i cavi d'acciaio fino a sprizzare scintille, i "piri" su cui il metallo scorre si arcuano nello sforzo, i paranchi paiono spezzarsi, gli uomini trattengono il respiro". Scrivono non senza retorica i giornali dell'epoca e commenta un vecchio bellissimo documentario dell'Istituto Luce. Il Monolite cala palmo dopo palmo: slitta smisurata che a Carrara da tempi immemorabili chiamano "lizza". Una tecnica vecchia di qualche millennio, già nota ai greci, ai romani e ai costruttori delle piramidi. Nel secolo scorso, fino agli anni '50, la "lizzatura" è uno dei metodi che caratterizzano il trasporto dei blocchi dalle cave ai poggi.
Questi, in cariche da 30 tonnellate e più, vengono fatti scivolare su parati di faggio. In un armonico movimento i legni vengono posti davanti, poi raccolti in passamano e ancora rimessi sotto. Ai "mollatori" il compito di allentare le funi attorcigliate intorno ai "piri" infissi nella roccia: per consentire una discesa regolare, senza strappi o sbandamenti. La squadra dei lizzatori è composta da 10-15 uomini. Dalla maestria del capo lizza dipende tutto il lavoro e spesso la vita propria e degli altri. La rottura di qualche fune, lo strappo o lo sbandamento della lizza possono abbrivire la carica, con conseguenze tragiche soprattutto per chi sta davanti.
La lizzatura del Monolite, che inizia il 26 gennaio 1929, è dieci volte superiore al già difficoltoso e anormale tipo di trasporto: sia per peso che per dimensione. "I cavi mandano vibrazioni d'arpa, mentre lungo le fiancate di quel carico immane gente umile appiccica reliquie di santi, affinchè il masso del prodigio sia protetto da Dio"; dicono e scrivono i "cantori" degli anni '20. Altri, anni dopo, sottolineano la "leziosa falsità" di questi dettagli: "Reliquie non ce ne sono e i cavi mandano i gemiti o gli schiocchi sinistri delle frustate. Le cariche scendono in silenzio quasi assoluto, tra ordini dati con poche parole: fischi, frasi in gergo dialettale, accenni di cantilene, bestemmie e lamenti del marmo, del legno e delle funi. Cala la massa cieca e terribile che ad un minimo errore può ribaltarsi e fare male. Inutile raccomandarsi all' Onnipotente, anche perché Dio nei secoli e nei secoli ha ben poco abitato sulle cave Apuane"...
I busti (indumenti) dei lavoranti sono infilati nelle fenditure della intelaiatura di legno: pronti ad esser rimessi addosso, a seconda del clima. Schiere di operai assestano la via di discesa, altri scavano la strada sotto i ponti della Ferrovia Marmifera per consentire al Titano il transito senza urti o scossoni. Le donne, madri e mogli, portano i viveri. Non di rado percorrono lente i sentieri di marmo a recare la "sunza": quello scarto del lardo di maiale, emolliente, che ridona vitalità agli scarponi consunti od alle mani esulcerate delle lavandaie a moto perpetuo nei lavatoi. Oppure recano altre robe, ma sempre utili ai loro uomini. Talvolta, ma poche volte e di soppiatto, estraggono e non si sa da dove, il fiasco dal vino di quello buono a corroborarne la virile sfacchinata.
Palmo a palmo il Monolite esce dalla balza e arriva al poggio laddove i blocchi vengono caricati sul treno della Marmifera o sui carri trainati dai buoi. E ancora giù, giù, sotto i Ponti di Vara. Al crepuscolo tutto si ferma: cala la notte e la scena diviene immobile. Irreale. Scenario di quiete a guisa degli elmi, delle armature e delle spade deposti dagli armigeri dopo la battaglia. I contorni delle montagne risaltano nello spazio intorno e rendono la visione del Monolite e dintorni "kafkiana" simile alla insolita tregua nel "formicaio".
Poi all'alba la antica e paziente Via Carriona ne accoglie il passaggio, tra ali di folla e di gente affacciata alla finestra. I panni stesi freschi di bucato gocciolano su uomini, animali e cose. Gocciolano sull'obelisco per il Duce, trainato da 36 paia di buoi che stentano, e sdrucciolano, e sbuffano, e arrancano, e sollevano nugoli di polvere. E muggiscono, proprio come li vede e li sente Gabriele Dannunzio nel luglio del 1899, e scrive il poeta Vate: "La grande via che percorrono i marmi su i carri, che scende dalla montagna e va sino al mare. Due solchi profondi la segnano, dal principio alla fine... I boattieri sono seduti sui gioghi con la schiena rivolta alle corna degli animali. Essi li percuotono e li pungono ferocemente, urlando, bestemmiando, incrudelendo. Battono con i pungoli le corna, la fronte, le froge. I bovi s'inarcano, si sforzano penosamente, ansano. Essi li percuotono su gli occhi, li afferrano per le corna. Il carro si impunta nei solchi, i bovi indietreggiano".
Nel territorio pianeggiante di Carrara la grande lizza prosegue il suo cammino come al monte, perché non c'è null'altro nel mondo di allora che possa trainarla a mare. Ma senza le incredibili pendenze delle Apuane ora il lavoro diviene quasi banale per uomini straordinari detti "lizzatori", che a ragione si vantano: "A siàm bòni à portàr tùti ì pèsi d'l mònd ìn tùti ì pòsti d'l mònd" ...
Mentre il Monolite slitta sul Viale XX Settembre, il tempo passa e l'inverno del 1929 diviene primavera. Poi si trasforma in estate e il 23 giugno tutto è pronto a Marina per l'imbarco. L'Apuano è ancorato lì davanti nel nostro mare. Chiatta costruita nei cantieri della Spezia che stazza 150 tonnellate. Le sirene delle navi urlano di gioia mentre l'ultima slitta e gli argani potenti spingono l'obelisco sul natante. Un arciprete benedice, mentre Renato Ricci, il "Ras", annuncia che "Un miracolo di titani si è compiuto !".
Quando lo inaugurano a Roma nel marzo del 1933, proprio nel luogo in cui è ancora oggi, Renato Ricci può scrivere a Mussolini: "L'obelisco è il più grande blocco marmoreo che mai sia venuto alla luce dalle viscere della terra. È costato lire 2.343.792,60, più mezzo milione per la cuspide d'oro, indispensabile a proteggerlo contro le insidie del tempo"... Dalla sua estrazione fino alla spedizione il Monolite non è costato neppure un infortunio sul lavoro; ma tra gli aneddoti che in quel periodo e negli anni a venire si sono sprecati sulla sua simbologia, c'è quello di uno strambo e allora notissimo personaggio di nome Gregorio Vanelli.
Al passaggio del gigante di marmo lungo la Carriona, "Gregò" esclama: "Trattasi della più grande "segata" del secolo, nel senso di segagione". Lo spessore di un'epica che "volenti o nolenti" appartiene a noi di Carrara e della impresa di uomini e donne, animali e... cose; contraddice la spiritosaggine del raro uomo verace di un tempo, che è stato di Carrara dei marmi e della pietra piegata da mani e braccia forti come tenaglie. Ma tanto tanto sudate...
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