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Scritto da aldo grandi
StoricaMente
04 Gennaio 2024

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L'appuntamento è per le 9. La partenza, immediata, destinazione Bocca di Serchio, alla foce del fiume dei lucchesi e dei pisani. Obiettivo, visitare quella che, un tempo, era la sede della scuola piloti di Bocca di Serchio, gli assaltatori subacquei della Decima Flottiglia MAS, gli eroi che, per colpa della Sinistra invertebrata e delle generazioni fluide e senza identità, oltre che di una Destra paurosa e senza memoria, è stata dimenticata e ingiustamente ridotta ad una creatura del fascismo saloino.

Sul sito dell'Associazione Nazionale Arditi Incursori Marina, cosìm sta scritto: 

C’è una casa alla foce del Serchio, tra Viareggio e Marina di Pisa, che odora di eroi e gesta.

Qui si stabilì dal 1936 al 1943 il nucleo segretissimo di assaltatori subacquei della 1a Flottiglia MAS (dal 1941 denominata Decima Flottiglia MAS), il reparto italiano che fece disperare gli inglesi che non riuscivano a capire come fosse articolato, dove si addestrasse, come fosse giunta ad elaborare tattiche e tecnologie belliche tanto irrazionali quanto geniali. Ma soprattutto efficaci.

In questo casolare i primi incursori della Regia Marina, si preparavano per le azioni contro le navi inglesi, dove il nemico si sentiva invulnerabile, cioè nei porti. Si sottoponevano a esercitazioni subacquee notturne al limite della resistenza fisica, impratichendosi di armi segrete quali il siluro a lenta corsa passato alla storia con l’appellativo di maiale.

Bocca di Serchio negli anni  precedenti  il secondo conflitto, era una zona dove nessuno metteva piede se non i guardiacaccia; il bosco apparteneva ai cinghiali, ai caprioli ed all’altra selvaggina.

Bocca di Serchio era stata richiesta dalla Marina ai proprietari, duchi Pietro, Giacomo e Averardo Salviati, appartenenti a quella mobilissima famiglia fiorentina da cui nel sedicesimo secolo, uscì Maria Salviati, sposa di Giovanni delle Bande Nere e madre del granduca Cosimo I dei Medici.

I proprietari  furono assai comprensivi e non si intromisero mai nelle faccende dei loro ospiti. Anzi li aiutavano ad ogni evenienza. Il segreto sulla esistenza del Gruppo o, meglio sulla sua attività, fu mantenuto rigorosamente anche dai loro dipendenti.

Si viaggia su una Land Rover bianca priva delle consuete comodità a cui questa società opulente ci ha abituati, ma sicuramente adatta a raggiungere una zona all'interno del parco Migliarino San Rossore e a poche decine di metri dall'acqua del fiume e, un po' più in là, del mare. Con noi il fotografo Ciprian Gheorghita incaricato di immortalare una vergogna che non è solamente del popolo italiano, bistrattato, asservito, prostituito e senza alcuna identità, bensì della sua classe dirigente politico, militare e amministrativa. Una assenza totale di senso del passato e della patria scritto con la p minuscola, ma non per questo meno importante e degna di essere celebrata, visto che per conquistarsela e difenderla, più o meno giustamente, sono morti a centinaia di migliaia i giovani, loro sì, virgulti e perdonateci l'anacronistico vocabolo, di una Italia che non li merita e, probabilmente, non li ha mai meritati.

La cronaca propone sovente comunicati stampa inerenti il parco di Migliarino San Rossore, una macchia di vegetazione che potrebbe essere e, invece e purtroppo, non è, per l'incuria dei politicanti da strapazzo che regnano sovrani su questa terra, per le malversazioni dei pochi che ricadono sulle spalle dei tanti, per l'ignoranza e la superficialità della gente italica a qualunque latitudine, priva di spina e schiena dorsali, levantina nel profondo dell'anima e capace solamente di produrre, in alcune circostanze, come scriveva Giaime Pintor, minoranze rivoluzionarie che si contano sulle dita di poche mani. 

Arrivati all'ingresso, in una giornata grigia, ma non fredda né piovosa, basta una camminata su un sentiero sterrato per raggiungere un edificio diroccato, caduto a pezzi, che se fosse nelle mani degli americani o di chiunque tenga alla propria memoria e a quella dei propri cari defunti, sarebbe un orgoglio e un pezzo da museo mentre, al contrario, è l'emblema classico di questo popolo e di questa classe-casta di peracottari attenti solamente al soldo e al proprio particulare inteso in senso diametralmente opposto a quello descritto e invocato da Francesco Guicciardini.

La casa che ospitò la scuola piloti di Bocca al Serchio non esiste più, il tetto è imploso e crollato su se stesso, all'interno solamente immondizia e sporcizia a quintali. Finestre sfasciate, porte divelte, memorie infrante. Qui, durante il secondo conflitto mondiale, vissero e operarono gli eroi di Alessandria d'Egitto che il 18 dicembre 1941 infersero alla flotta inglese uno dei più cocenti e beffardi colpi mai subiti. Qui si allenavano a combattere e morire gli assaltatori subacquei della prima e, poi, Decima Flottiglia Mas, guidati anche da un comandante che, in qualsiasi altro Paese sarebbe anche onorato e che, al contrario, è stato solo vilipeso e dimenticato: Junio Valerio Borghese, un eroe che ebbe la colpa, questo sì, di tenere fede alla parola data schierandosi dalla parte sbagliata, ma, soprattutto, perdente. 

Proprio pochi giorni fa, in una località del bresciano, Gavardo, una innocua scritta luminosa natalizia, XMas, ha scatenato i soliti suscettibili antifascisti imbecilli e idioti i quali hanno gridato al ritorno e alla celebrazione intrinseca del fascismo saloino. Questo Paese, incapace di far pace con la propria storia per ragioni squisitamente politiche e strumentali portate avanti da una Sinistra debosciata e priva di carattere e, in particolare, attributi del genere propriamente maschile, non perde occasione per sputare sul passato senza sforzarsi nemmeno di conoscerlo. Possiamo, così, immaginare come si debbano sentire le forze speciali italiane sapendo che, una buona fetta di concittadini - non quelli di colore che della storia di sangue del nostro Paese se ne sbattono - li considera alla stregua di nostalgici criminali salvo, poi, magari, invocarli, un giorno, quando l'Islam avrà sufficientemente invaso le nostre città.

Sullo sfondo dell'edificio cadente, anche una parvenza di ristrutturazione di quella che, un tempo, era la scuola sottufficiali e che, invece, adesso sarebbe dovuta diventare una sorta di residence turistico poi fallito come sempre accade a queste latitudini. 

Reggono e resistono, sulla facciata della casa, due lapidi che ricordano il sacrificio degli eroi perché eroi furono indipendemente dalla bandiera e dal regime sotto al quale operarono. 

Ma chi è il capo di stato maggiore della Marina Militare italiana, forse, una delle poche forze a potersi vantare di essere sempre stata l'orgoglio di questo sfasciato Stivale? Eccolo, si chiama Enrico Credendino, nato a Torino nel 1963. Ebbene, come fa a tollerare l'esistenza di questo affronto?, ma, in particolare, perché, tra una cerimonia e un'alzabandiera non viene a fare una visita da queste parti così per rinfrescarsi la memoria?

A proposito, ma è vero che proprio la Marina Militare avrebbe disposto, attraverso una riservata circolare interna, che sui biglietti di invito alle cerimonie compresi, ovviamente le serate danzanti, non debba più essere riportato il Signor X e la signora, ma il più politicamente corretto e gender fluid partner tra l'altro di derivazione anglo-francese?  Perché se così fosse non saremmo al ridicolo, ma al grottesco.

Un pensiero sorge spontaneo: si spara merda sopra chi ha onorato la bandiera, ma ci si è completamente dimenticati dei bastardi che, tra la notte dell'8 e 9 settembre 1943, appena annunciato l'armistizio con gli Alleati, fuggirono sulla via Tuscolana in direzione Ortona dove il re e la famiglia reale, schifosi e vigliacchi, abbandonarono con tutto lo Stato Maggiore e gran parte degli alti gradi militari, i soldati e il popolo italiani nelle mani dei tedeschi invasori.

Foto Ciprian Gheorghita (ad eccezione delle quattro immagini in b/n)

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