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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
17 Giugno 2025

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Anche i classici per l'infanzia del Bel Paese, su cui si sono formate generazioni e generazioni di piccoli italiani, il Cuore, 1886, di De Amicis e Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, 1883, di Lorenzini/Collodi li incontrai relativamente tardi e li percepii e giudicai negativamente: fuffa dolciastra il primo, mentre il secondo mi consegnava l'immagine di un'Italia arcigna, rurale, povera... Esattamente quella che volevo lasciarmi alle spalle, avendo intravisto dietro l'angolo un futuro ricco di ben altre possibilità e libertà.
Mi si attagliarono, invece, al punto da tornarci più e più volte in seguito, le pagine di taluni scrittori anglo-americani. In primis Mark Twain, di cui lessi sempre con particolare piacere i racconti, Le avventure di Tom Saywer e quelle di Hukleberry Finn - nascono lì i miei miti americani – e poi un libro di uno scrittore inglese, ingiustamente a mio parere considerato minore. Jerome K. Jerome e i suoi Tre uomini in barca. Per lungo tempo, l'uno e l'altro hanno costituito i miei modelli di scrittura. Narrare col sorriso - non lo sghignazzo, il sorriso – alla maniera dello scrittore inglese e magari concludere con la battuta tagliente, irriverente, alla Twain.
Cosa resta ancora nella rete della memoria delle letture infantili? Un Giorgio Picchia calciatore, di tal F. P. Trigona, Salani 1940, ancora intriso di umori antinglesi, nazionalisti e patriottici eppure ben scritto, con un bel ritmo narrativo tanto da meritare gli elogi di uno storico e critico della letteratura per l'infanzia come Antonio Faeti. Lo lessero anche e non gli dispiacque, un insospettabile Francesco Guccini e il giornalista, corrispondente di guerra, Mimmo Càndito (1941-2018)
Poi, ricompare la fantascienza. Infatti, nella bibliotechina della parrocchia romana di Sant'Agnese fuori le mura, scampato alla censura dei preti e degli uomini d'Azione Cattolica che non si resero conto delle idee evoluzioniste e darwiniste dell'Autore, scovai e bevvi d'un fiato, in un pomeriggio strappato ai ben più noiosi doveri scolastici, una Guerra dei mondi che distanziò di parecchie leghe i canovacci approssimativi dei pur amatissimi fascicoletti di Urania. E poi per non farmi mancare niente, la fantastoria: scovato nei modesti scaffali casalinghi, un londoniano Prima di Adamo, cruenta descrizione dell'umanità barbara e feroce nella notte buia che precede la storia. Non tutto mi fu chiaro, ma quello che compresi mi levò il sonno per giorni e giorni.
Da ultimo, sempre ritrovato in casa. un piccolo libriccino dalla copertina grigia delle Edizioni Cultura Sociale, figlio delle frequentazioni politiche di babbo. Titolo: I miei sette figli, scritto da un giornalista, Renato Nicolai, dal racconto che un contadino emiliano, Alcide Cervi, gli fece della strage della sua famiglia: sette figli maschi ammazzati dai fascisti nel dicembre '44, colpevoli solo di aver difeso, in tempi difficili, la libertà e la giustizia. Non ne ho una nozione precisa, ma credo che fu allora che decisi che da grande sarei stato comunista.

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