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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
07 Agosto 2023

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Raccontano di lui che, diffusasi a Lucca la notizia dei fatti di Porta Pia e della fine del potere temporale dei papi, insieme a un numeroso gruppo di adolescenti suoi coetanei, sia salito in cima del campanile della chiesa di San Michele in Foro, nel centro della città toscana, per celebrare col suono di quelle campane Roma finalmente capitale. Manifestazioni simili ebbero luogo più o meno in tutta la penisola: quello che sorprende in questa storia minore è che una manifestazione del genere sia avvenuta anche nella cattolicissima Lucca e che a quella patriottica cagnara abbia partecipato anche lui, Adamo Lucchesi, che da ben un lustro frequentava il seminario arcivescovile con esiti, per la verità, di anno in anno sempre meno brillanti. Una bravata, quell’adesione un po’ sgangherata e beffarda alle vicende nazionali, che per il ragazzotto quindicenne della Pieve dei Monti di Villa significò la fine dei severi studi classici e religiosi e l’inizio di una fase del tutto nuova nella sua esistenza. Infatti, nella primavera dell’anno successivo, lo ritroviamo a bordo di una nave a vapore l’“Italo Platense” che dopo oltre un mese di viaggio lo lascia a Buenos Aires, capitale di quell’Eldorado argentino che già cominciava a esercitare un’attrazione formidabile nei confronti di tanti artigiani e contadini italiani in cerca di un destino migliore di quello che la loro recentissima patria sembrava in grado di garantire.

Di lì a poco è mozzo sul “Fazio”, un brigantino adibito alla navigazione fluviale. Risaliva, infatti, due ampi corsi d’acqua, il Rio Paranà e l’Uruguay fin dove i fiumi risultavano navigabili. Umili le sue mansioni: tenere pulita la coperta, provvedere alla posa dei cavi d’ormeggio, curare il carico e lo scarico delle merci… A questi compiti, considerato che il padrone del battello era analfabeta, si aggiungeva anche quello di addetto alla tenuta dei libri di bordo: un’attività in cui, immaginiamo, la pratica scolastica ginnasiale e seminariale lo abbia bellamente sostenuto.  

Perché proprio l’Argentina entra nei programmi del giovanissimo Adamo? Le risposte non sono facili. Agiscono su di lui questioni complesse. Innanzitutto lo spirito del tempo che indirizzava verso una conoscenza ottenuta attraverso l’esperienza concreta, le scienze empiriche e sperimentali; poi, un clima eroico che non aveva trovato del tutto soddisfazione nella recentissima vicenda risorgimentale e che tenne desta per alcuni anni una diaspora tricolore nutrita di spirito d’avventura e di un’ansia d’affermazione italiana nel mondo. Senza dimenticare che la terra d’origine del Lucchesi corrispondeva a un’area della Toscana, la val di Lima, i cui abitanti da tempo erano soliti cercare miglior fortuna emigrando in Europa e nelle due Americhe per praticare l’arte della produzione e commercializzazione della figurina di gesso.

Un forte polo attrattivo era poi rappresentato dalla numerosa comunità italiana rioplatense, già ben strutturata e positivamente inserita nel mondo delle attività produttive, dei commerci e degli affari. Non meravigli più di tanto, quindi, la scelta di Adamo di dirigersi proprio verso quell’area del mondo, percepita come pronta ad accogliere manodopera europea giovane, in buona salute e disponibile al lavoro, alla fatica e alle dure prove di un ambiente ancora per tanti versi ostile.

L’esperienza di marinaio fluviale è però destinata a durare poco. Un paio d’anni ed ecco Adamo nei panni dell’esploratore. Impegnato nella ricerca dell’“oro verde” rappresentato dalla yerba, una pianta, l’Ilex paraguayensis, dalle cui foglie, fatte seccare e sminuzzate, si prepara un infuso simile al the dalle spiccate proprietà energizzanti: una bevanda assai diffusa in tutto il Cono sud dell’America Latina, dal Brasile all’Argentina, dal Cile all’Uruguay. Si apre una nuova fase nell’esistenza di Adamo, quella destinata ad accompagnarlo sino all’età matura: gli anni delle esplorazioni nei territori tropicali del continente sudamericano compresi tra Bolivia e Paraguay, Argentina e Brasile. In quest’area interna Lucchesi intraprenderà spedizioni esplorative che attraverso la foresta lo porteranno sino alle rapide dell’Iguazù (1876) e a quelle dell’Acaray (1877), dove in un naufragio disastroso il Nostro rischia di rimetterci la vita. Nel 1882 Lucchesi percorre il bacino dell’Itambemy, affluente di destra del Rio Paranà, e tra l’autunno ‘84 e l’inverno ’85 tocca il salto Guayra e nel 1887 batte la regione del Chaco paraguayano, vasta come un quarto dell’Italia. Memorabile l’impresa che lo porta a piantare il tricolore in prossimità della cascata Guayrà insieme al capitano di marina Giacomo Bove (1852 – 1887), membro onorario della Società Geografica Italiana, uno degli esploratori italiani più famosi del tempo: nelle sue intenzioni il progetto di una colonizzazione italiana del territorio di Misiones, non accolto dalle autorità italiane.

Nel 1906, ben provvisto di mezzi economici, Lucchesi torna in Italia nel suo paese d’origine. Considerato dai parenti e paesani come un ricco “zio d’America” conosce una serie di delusioni familiari e non solo. Anche il progetto di dotare il suo territorio d’origine di una scuola professionale, costruita e finanziata a sue spese, per la formazione professionale dei giovani intenzionati a emigrare, incontra solo l’opacità delle strutture amministrative e scolastiche locali. Lucchesi è costretto a chiuderla e a devolvere case e terreni alla Pia Casa di Lucca.  Frustrato nella sua generosità di filantropo, si trasferisce a Viareggio dove muore nel 1940 non senza aver dato alle stampe un suo libro di memorie dei tempi eroici Nell’America del sud-Alto Paranà e Chaco, Firenze, 1936, oggi difficilmente reperibile.

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