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Scritto da aldo grandi
StoricaMente
05 Febbraio 2023

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Alle nuove generazioni è probabile che, giorno della memoria a parte, dica poco o niente e non è detto che anche ai loro avi stimoli al ricordo e alla riflessione. Ma per chi, come noi, è cresciuto a pane e storia, non quella dei manuali scolastici, ma quella che si fatica a costruire e che si accresce libro dopo libro, ricerca dopo ricerca, sacrificio dopo sacrificio, arrivare a Ferrara vuol dire sbarcare nei luoghi dove è stato scritto e, successivamente, girato, uno dei capolavori della letteratura italiana e un film che, nel 1972, si aggiudicò l'Oscar per il miglior film straniero e per la migliore sceneggiatura non originale.

Il libro lo aveva scritto Giorgio Bassani, ebreo, uno degli autori più importanti del Novecento italiano che seppe raccontare la sua città, Ferrara appunto, come nessun'altro mai e che nel suo Romanzo di Ferrara inserì anche la storia della famiglia Finzi-Contini ambientandola durante le persecuzioni razziali del fascismo all'indomani dell'approvazione, nel 1938, del cosiddetto Manifesto della razza.

Se guardate il film, comincia proprio sul corso Ercole I d'Este: si vedono alcuni giovani in bicicletta pedalare costeggiando il muro di cinta di quello che è, attualmente, il parco pubblico Massari e fermarsi davanti ad un cancello, all'epoca chiuso perché proprietà privata. Fa un certo effetto trovarsi qui, a poche centinaia di metri dal palazzo dei Diamanti, altro meraviglioso edificio progettato dall'architetto Biagio Rossetti. A Ferrara gli ebrei avevano una antica tradizione di permanenza, più che accettabile e confortevole grazie all'accoglienza ricevuta dal duca Ercole I d'Este, almeno fino a quando Ferrara non tornò allo Stato Pontificio che istituì, nel 1627, addirittura il ghetto. 

Il libro di Giorgio Bassani è un vero e proprio romanzo di Ferrara, ma è stata la pellicola interpretata da Lino Capolicchio, Dominique Sanda, Fabio Testi e Helmut Berger a conferirgli una fama mondiale anche se lo scrittore non fu mai del tutto soddisfatto della trasposizione cinematografica della propria opera. I luoghi cari a Bassani sono i luoghi cari a tutti i ferraresi che hanno vissuto la città rimasta, sostanzialmente, quello che è sempre stata. Ormai gli ebrei presenti in città stabilmente non superano le cento unità, anche meno, e ne abbiamo avuta una dimostrazione proprio sabato mattina partecipando alla festa del riposo, lo Shabbat. All'interno di una delle tre sinagoghe di via Mazzini 95 - da sempre sede della comunità ebraica di Ferrara - i presenti si contavano sulla dita di due mani, uomini e donne ed essendo i primi inferiori a dieci ossia al numero previsto dalle norme di culto, non c'è stata Minian e quindi non si è potuto assistere alla cerimonia completa.

Apposte sulla facciata della sinagoga di via Mazzini che ospita anche il museo ebraico chiuso per lavori di ristrutturazione, la più importante strada del ghetto, due grandi lapidi di marmo ricordano i nomi e i cognomi delle vittime ferraresi dei campi di sterminio nazisti. All'interno, delle tre sinagoghe esistenti, solo una è aperta e, come ogni sabato, a celebrare la funzione è il rabbino capo di Ferrara da oltre trent'anni è il rabbino Luciano Meir Caro. 

Corso Ercole I d'Este è una strada diritta che venne realizzata nella parte rinascimentale della città e che conduce dalla casa del Boia fino al castello estense ed è proprio quando si sbocca davanti ad uno dei pochi castelli europei circondati dall'acqua, che si notano o, almeno, lo notano coloro i quali hanno il senso della memoria e della storia, delle lapidi che ricordano i nomi e i cognomi di coloro che furono vittime del primo eccidio della guerra civile italiana, nel novembre 1943, quando i repubblichini, all'indomani della costituzione della Repubblica di Salò e dell'uccisione del federale di Ferrara, per rappresaglia, prelevarono alcuni prigionieri dal carcere e li fucilarono al cospetto del muretto che delimita il fossato del castello. E questa tragedia, che Giorgio Bassani raccontò magistralmente in Una notte del '43 contenuta nella raccolta Cinque storie ferraresi, libro con cui l'autore si aggiudicò il Premio Strega nel 1956.

Quattro anni più tardi, il giovane regista Florestano Vancini, all'età di 34 anni, portò sul set la sceneggiatura di questo evento raccontando, in una pellicola bianco e nero, come si svolsero i fatti. Una pellicola cruda, per certi versi cupa, ma realista e di forte impegno civile.

Di sera, in pieno inverno, la gente passa davanti alle lapidi noncurante e, probabilmente, anche ignorante di ciò che accadde quella maledetta notte. Segno del tempo che passa ancor più di un fascismo risorgente o di una totale assenza di consapevolezza. Le vittime sono ben impresse sul marmo e basterebbe cliccarle una dopo l'altra su Internet per restituire loro un soffio di visibilità memorialistica. Eppure quelle persone morirono davvero trucidate dall'odio dei nuovi fascisti. Eppure ognuno di loro aveva una vita, degli affetti, una famiglia, un lavoro. Perché il ricordo muore lentamente con il trascorrere del tempo?

Camminare di notte per il centro di Ferrara è una esperienza assolutamente da fare. Sembra di trovarsi in un altro evo tanta è la pace. Ma dove sono tutti i ferraresi? Che, puntualmente, appaiono il mattino seguente ad animare le strade di questa città che riesce ad essere uguale a se stessa. La casa di Giorgio Bassani, la sua tomba presso il cimitero israelitico, il quartiere ebreo che pur se vuoto del suo popolo eletto, conserva ancora tracce indelebili di una tradizione che nemmeno la follia nazista e fascista sono riuscite a cancellare. 

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