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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
21 Agosto 2023

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Non corse mai buon sangue tra la Benemerita e i neofascisti di Salò. Questi, infatti, guardarono sempre con sospetto i Carabinieri, responsabili, ai loro occhi, di non pochi disastri occorsi ad alcuni dei maggiori esponenti del fascismo. Non era stata forse l'Arma fedelissima, agli ordini del generale Angelo Cerica, a partecipare al complotto che il 25 luglio '43 aveva destituito Mussolini e portato al suo arresto? E non erano state le Fiamme d'argento responsabili della morte, avvenuta a Fregene nella notte tra il 23 e il 24 agosto '43, di Ettore Muti, soldato tanto coraggioso quanto sfrontato, politico poco capace ma amatissimo dall'opinione pubblica fascista? Neppure i tedeschi nutrivano particolari simpatie per il Corpo dei Carabinieri Reali, i cui militi, dopo l'8 settembre, in numerose occasioni in Italia e all’estero (in Grecia a Cefalonia; in Jugoslavia), si erano contrapposti alle forze armate germaniche. Un episodio valga per tutti: la sfortunata difesa di Roma. Qui, il giorno 10 un battaglione di 600 uomini e uno squadrone di 200 carabinieri della Legione Allievi affiancarono i Granatieri di Sardegna e i partigiani romani che a Porta San Paolo si batterono con valore contro i tedeschi per impedire l'occupazione della capitale.

Deportati in Germania

L’organizzazione dell'esercito di Salò offre ai neofascisti l'occasione per regolare i conti con l'Arma: i carabinieri, nell'autunno 1943, sono costretti a sciogliersi nella Guardia Nazionale Repubblicana, insieme agli uomini della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e della Polizia Africa Italiana, costituendo una vera e propria polizia di partito. Il Corpo, però, fedele alle sue tradizioni monarchiche, oppone alle intenzioni di fascisti e tedeschi, una scarsa collaborazione, il sabotaggio delle disposizioni riguardanti renitenti e disertori, i rapporti, via via sempre più frequenti e stretti, con le bande partigiane… Comportamenti che si moltiplicano nella tarda primavera del '44 quando i tedeschi impongono ai fascisti di Salò il progetto di trasferire 10.000 carabinieri in Germania da utilizzare come manovalanza militare, realizzando un doppio vantaggio per i nazisti: "allontanare dall'Italia una truppa che ha sempre obbedito di malavoglia strizzando l'occhio ai 'banditi' e sabotando lo sforzo del Reich; e sollevare in Germania da compiti di retrovia soldati tedeschi indispensabili sul fronte dell'est e, poi, sul nuovo fronte francese" (Pansa). Nell'agosto 1944, rastrellati con la forza, più di 7000 carabinieri sui 44.000 in armi nella primavera dello stesso anno, sono costretti a prendere la via della Germania e, una volta in terra tedesca, ridotti alla dura condizione di internati militari: in una lettera a Göering del 9 ottobre 1944 Mussolini esibisce come un titolo di merito l'aver inviato nel Reich 7600 militari.

Alto il prezzo pagato dall'Arma nella lotta antifascista: 2735 caduti e 6521 feriti, mentre 28 sono le medaglie d'oro assegnate a carabinieri per il valore dimostrato nella lotta contro i nazifascisti. La figura comunque assurta a simbolo della opposizione dei carabinieri al nazismo è quella del sottufficiale Salvo D'Acquisto, che il 23 settembre '43, a Palidoro, alle porte di Roma, sacrificò la propria giovane vita in cambio di quella di ventidue persone catturate per rappresaglia dai tedeschi.

Lucca e dintorni. Carabinieri, fascisti, tedeschi

Analoga a quanto si andava definendo nel resto del territorio nazionale la situazione dei carabinieri operanti nella circoscrizione di Lucca. Già nell'autunno del '43, i notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana descrivono comportamenti fuori controllo degli uomini dell'Arma:

A Barga, a Bagni di Lucca, a Castelnuovo Garfagnana, a Piazza al Serchio, Gramolazzo e Pieve di Camaiore i comandi carabinieri rifiutano di arrestare i prigionieri evasi adducendo di non avere disposizioni, aggiungendo che i prigionieri "siamo noi e non loro", in taluni casi li aiutano, invitano i contadini e gli abitanti a nascondersi al passaggio di macchine tedesche per evitare di essere prelevati, ed esortano infine la gioventù a darsi alla macchia.

A Gallicano, il responsabile della locale stazione, il maresciallo Felice Benincasa, sceglie, con i suoi uomini, la difficile e pericolosa strada di "una formale e forzata appartenenza alle truppe di Salò, mentre il cuore, la testa e l'agire quotidiano sono tutti dalla parte della Resistenza e dei suoi protagonisti". Gioca su due tavoli, il maresciallo di Gallicano. Simula e dissimula, boicotta e sabota, nasconde armi e occulta partigiani, aiuta i prigionieri alleati e fa di tutto - e gli riesce - per non indossare la camicia nera! Un doppio gioco complicato e pericoloso che durerà per un anno, dal settembre '43 al settembre '44: il tempo necessario ai fascisti locali per rendersi conto che il maresciallo di Gallicano opera in tutti i modi possibili per favorire il movimento partigiano. Quando decidono di intervenire è troppo tardi: il sottufficiale, con un po' di fortuna e l'aiuto della gente del posto, si sottrae alle loro attenzioni per raggiungere il comando dell'XI Zona Patrioti e il comandante "Pippo".

Circa il giudizio delle autorità d'occupazione tedesche sulla affidabilità attribuita ai carabinieri così leggiamo nel Rapporto sulla situazione per il periodo dal 15 marzo 1944 al 15 aprile 1944 prodotto dal Comando militare 1015 per le province di Lucca, Massa, Ardenza (Livorno), Pistoia:

I casi più gravi di trasgressione ai propri doveri, in cui essi hanno agevolato le fuga dei prigionieri di guerra inglesi oppure si sono arresi ai banditi senza opporre resistenza, sono stati segnalati ai tribunali di guerra italiani. È indicativo il fatto che, in occasione di attacchi, se si tratta di carabinieri, i banditi quasi sempre si limitano a disarmarli ed immobilizzarli, mentre appartenenti alla milizia vengono fucilati. Informazioni sulle bande o su atti di sabotaggio vengono trasmessi con ritardo dagli uffici dei carabinieri e a volte non vengono trasmesse affatto, per cui non si riesce mai a rintracciare i colpevoli, mentre le denunce di violazioni ad opera di soldati tedeschi vengono presentate immediatamente.

Anche i comportamenti dei carabinieri di stanza a Lucca e nella Piana mettono in evidenza un'adesione, esteriore e obbligata, alle direttive repubblicane, ma un sostegno, nei fatti, ai progetti e agli uomini della Resistenza. Vannuccio Vanni, "Alfredo", comunista, uno dei protagonisti della lotta di liberazione a Lucca, così racconta i carabinieri della città capoluogo:

Sempre in quei giorni di maggio, attraverso il dentista Osvaldo Nardi di Piazza S. Michele, entrai in contatto con il ten. Flora della tenenza dei carabinieri di stanza nel Cortile degli Svizzeri. Durante quell'incontro, che durò circa due ore, mettemmo a confronto le nostre idee, facendo considerazioni sulla lotta partigiana. Su alcuni punti ci trovammo d'accordo, mentre emersero diversità di vedute sulle varie fasi della lotta. Il mio obbiettivo era di accertarmi della sua sincera adesione al movimento antifascista e vedere a quale livello si poteva stabilire un accordo. In quello e in successivi incontri, si stabilì tra noi una stima ed una comprensione reciproche... Ci accordammo subito su due cose della massima importanza: ci avrebbe aiutato, in forma indiretta, a trafugare tutte le armi dell'armeria del comando di caserma, comunicandoci tempestivamente il momento più opportuno per l'azione; ci avrebbe immediatamente avvertiti di eventuali ordini di rastrellamento che fossero ordinati ai carabinieri...

La strage di Pioppetti e altri caduti

Inaffidabile agli occhi di tedeschi e fascisti, anche a Lucca il Corpo paga il suo tributo di sangue: un - presunto - attentato contro i militari della 20a Divisione della Luftwaffe, compiuto nella notte del 26 luglio '44 tra le frazioni lucchesi di Sant'Alessio e Monte San Quirico, scatena una feroce rappresaglia tedesca. Il giorno successivo, in località Pioppetti, tra Valpromaro e Montemagno, dopo essersi scavata la fossa con un badile, sono fucilati cinque civili (Ivo Giusti, Marino Lombardi, Celestino Di Simo, Pietro Orsi, Foresto Pizza) e due militari: i carabinieri Felice Cavallero e Giuseppe Giusti, entrambi poco più che ventenni. È la prima strage nazista sul territorio di Lucca.

Neppure è da smemorare, poi, il sacrificio del maresciallo in pensione Domenico Botindari. Componente di una delle squadre partigiane, che nelle ore convulse immediatamente precedenti la liberazione della città avevano il compito di ripulirla dai tedeschi, il coraggioso sottufficiale, intervenuto assieme a tre agenti di Pubblica Sicurezza per contrastare il saccheggio operato in via Veneto, in pieno centro storico, viene falciato con una raffica di mitra da alcuni militari germanici in ritirata.

Ancora un nome testimonia l'abnegazione delle Fiamme d'argento a Lucca e nella Piana: quello del brigadiere Salvatore Uda, da tutti conosciuto come antifascista, che, in servizio sulla linea tramviaria Lucca-Pescia, è ucciso nel corso di un'incursione aerea alleata mentre si adoperava per portare soccorso a una donna ferita in quell'attacco dal cielo.

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