L'Eroe
Sondaggi recenti confermano che ancora oggi la stragrande maggioranza degli italiani quando pensa a un eroe ha in mente Lui: ovvero Giuseppe Garibaldi, il Generale dei Mille, il Magnanimo Guerrigliero, l'Eroe dei due Mondi che sognava l'Italia. Al Nizzardo è toccato, forse anche al di là delle sue intenzioni, quanto non è riuscito a nessun altro personaggio nel corso di un secolo e mezzo e oltre di storia nazionale: entrare in profondità e in maniera duratura, nell'immaginario collettivo, quello borghese e quello popolare, quasi circonfuso da una sorta di laica sacralità.
Un fatto unico nella storia del nostro Paese, meritevole di attenzione perché tanta parte della nostra mentalità, della nostra percezione delle vicende pubbliche, le stesse idee di politica, repubblica, democrazia, solidarietà si sono in gran parte plasmate in relazione all'operato e alla figura di Garibaldi.
La sua gente
Popolani e borghesi, analfabeti e intellettuali, idealisti e avventurieri, nazionalisti e per questo internazionalisti, il 'popolo garibaldino' rappresenta una realtà complessa, dove entusiasmi e utopie, passioni e speranze si fanno uomini - ed anche donne - in carne e ossa con storie di vita spesso di esemplare coerenza, talora torbide e contraddittorie.
Un mondo su cui sovraintende Giuseppe Garibaldi, sempre sospeso tra mito e realtà storica. Re pastore o politico navigato? Uomo d'arme tanto fortunato quanto politicamente ingenuo o, davvero, cavaliere invincibile senza macchia né paura?
Certo, del nostro Risorgimento Garibaldi è stato l'anima popolare ed è nel suo nome, per le sue parole e il suo esempio, che gli Italiani, da secoli sotto il tallone di dominazioni straniere, insorsero e divennero Nazione.
Agli insegnamenti dell'Eroe e degli uomini che con lui "fecero l'impresa", agli ideali di democrazia e di umanità che furono propri di Garibaldi e dei suoi, siamo soliti tornare nei momenti più oscuri della nostra storia nazionale. Oggi, quei valori morali ci interpellano ancora, tutte le volte che ci accingiamo alla realizzazione di una società più libera e giusta.
Dei non pochi lucchesi che indossarono la camicia rossa vogliamo ricordarne almeno tre:
Un lucchese tra i Mille
L'unico lucchese dei Mille si chiamava Giovanni Antonelli, era figlio di Arcangelo, ed era nato a Pedona di Camaiore il 13 dicembre 1820. Bracciante analfabeta, Giovanni fu sempre uno spirito ribelle e un attivo oppositore nei confronti degli assetti politici del suo tempo. Soldato sotto il granduca, disertò. Arrestato, mentre era condotto a Camaiore, riuscì comunque a fuggire. Venuto a sapere dell'impresa di Garibaldi, decise di prendervi parte. Successivamente si trasferì a Livorno e poi a Lucca, universalmente noto con il soprannome "Il garibaldino". In precarie condizioni di salute, visse con la pensione prevista per i Mille e morì il 17 novembre 1885.
Il politico navigato
Antonio Mordini (Barga, 1819 - Montecatini 1902), dopo la laurea in giurisprudenza a Pisa nel 1843, si trasferisce a Firenze dove organizza una società segreta di orientamento repubblicano. Combatte nella I guerra d'indipendenza e dopo la fuga a Gaeta di Leopoldo II, sostiene il governo provvisorio di cui diviene ministro.
Alla fine dell'esperienza democratica per Mordini iniziano dieci anni d'esilio. Intensi i rapporti con Mazzini da cui, però, si allontana, pur rimanendo repubblicano.
Nel 1859, dopo aver partecipato alla guerra contro l'Austria, si adopera per sollecitare l'unione della Toscana al Piemonte. Deputato al Parlamento subalpino, raggiunge Garibaldi in Sicilia e nel settembre 1860 è nominato prodittatore dell'isola. Nel 1862 torna in Sicilia per convincere il Generale dei Mille ad abbandonare il progetto di una spedizione contro lo Stato pontificio. Arrestato perché ritenuto corresponsabile dei fatti dell'Aspromonte, dimostra l'infondatezza dell'accusa ed è autore dell'interpellanza che fa cadere il governo Rattazzi. Nel 1867 fa parte del governo Menabrea come ministro dei Lavori pubblici. Dal 1872 al 1876 è prefetto di Napoli. Nel 1893 è presidentedella Commissione finanze. Nel 1896 è nominato senatore a vita.
Attento alle problematiche del suo territorio, ricopre più volte l'incarico di vice-presidente del Consiglio provinciale di Lucca e di consigliere del Comune di Barga.
Il romantico idealista
Nato a Lucca da una famiglia di modeste condizioni Tito Strocchi (Lucca, 1846 – Bagni di Lucca, 1879), si laurea in legge a Pisa nel 1866 e l'anno dopo è con Garibaldi a Mentana. "Soldato garibaldino e anima mazziniana", secondo la felice definizione del prof. Mancini, a Lucca partecipa alla costituzione della "Associazione fra i Reduci delle Patrie Battaglie", che ha come suo presidente onorario Giuseppe Mazzini, e fonda il settimanale "Il Serchio", che si rifà al suo magistero morale e politico. Legato all'agitatore genovese dal progetto dell'"Alleanza repubblicana universale", viene arrestato nel 1869 con l'accusa di cospirazione contro lo Stato. Liberato e rientrato a Lucca è l'organizzatore di una banda armata di circa 80 membri, che, traversato l'Appennino, intende puntare su Firenze, allora capitale del Regno, per promuovere un'insurrezione repubblicana. Impresa, questa, che realizzata in maniera piuttosto improvvisata nei primi giorni del giugno 1870, vale a lui e ai suoi compagni alcuni mesi di carcere. Amnistiato per festeggiare il ritorno di Roma all'Italia, Tito Strocchi raggiunge Garibaldi che si batte a fianco del popolo francese contro i prussiani. Nel gennaio 1871 combatte a Digione e partecipa con Ricciotti Garibaldi all'impresa di strappare ai prussiani l'unica bandiera da loro perduta nell'intera campagna di Francia.
Di nuovo in Italia si dedica all'attività forense e giornalistica.
Ammalato gravemente di tubercolosi, si spegne a Bagni di Lucca il 12 giugno 1879.