aldo
   Anno XI 
Lunedì 29 Aprile 2024
- GIORNALE NON VACCINATO
scrittore
scrittore2
aldo1
scrittore1
scrittore3
scrittore4
scrittore5
storia
storia2
Spazio disponibilie
storia1

Scritto da Luciano Luciani
StoricaMente
30 Dicembre 2023

Visite: 776

Begli ingrati davvero, i livornesi! A scorrere lo stradario comunale, ti accorgi, infatti, che i cittadini labronici hanno dedicato vie e piazze, vicoli e slarghi, corsi e viali a personaggi – e cose – di tutti i tempi e generi. Non sono stati trascurati i protagonisti del Risorgimento e neppure, giustamente, quelli della Resistenza; non sono stati dimenticati i pittori, i letterati, i musicisti, locali e nazionali, di chiara fama e/o di opaca memoria.

Non mancano una Via delle Acciughe, quella degli Ammazzatoi, una Via della Fonte puzzolente e quella del Casino... Un osservatore minimamente attento e curioso delle cose livornesi non trova, però, scolpito su nessuna targa civica, il nome di uno tra i più apprezzabili abitanti della città. Forse il più importante, perché svolse un ruolo direi addirittura salvifico per Livorno, in un momento cruciale della vicenda della città.

Forse si deve a lui se il porto più fervido e vivace dell’Alto Tirreno ha potuto rimanere tale e continuare ad avere una storia: ebbene, un briciolo di giustizia imporrebbe che i suoi nome e cognome trovassero spazio nella toponomastica comunale e che un luogo, magari modesto, magari nella periferia, li riportasse come tardivo segno di gratitudine. La nostra storia, o meglio, la sua, comincia il 17 maggio di trecento anni fa. Marcellino Ittieri, medico della Sanità del porto di Livorno, nato in città, ma di probabili origini transalpine, viene sollecitato a visitare una nave francese, la “Grand St. Antoine” alla rada nel porto di Livorno. A bordo della imbarcazione, proveniente da Alessandria d’Egitto, vengono rinvenuti tre cadaveri, i cui corpi risultano coperti da macchie livide.

Il Nostro, che non è uno sprovveduto, ma ha frequentazione col fior fiore della scienza toscana – il Cestoni, il Vallisnieri, il Redi, il Bonomo, il Malpighi – li giudica vittime di febbri pestilenziali e ne fa immediatamente bruciare i corpi. A fatica, vince la reticenza del capitano della nave, dalle cui parole emerge un quadro inquietante della situazione igienico-sanitaria della nave: altri cinque marittimi, tra cui anche il medico di bordo, sono rimasti vittime dello stesso malanno.

Seguendo la scala gerarchica, l’Ittieri informa il governatore di Livorno e invia una dettagliata relazione al protomedico dello Stato mediceo, Giuseppe Del Papa, attirando su di sé le critiche del dignitario di corte che lo accusa di allarmismo. La nave e le merci possono essere accolte: inoltre, se il medico livornese non avesse ottemperato alle disposizioni superiori, sarebbe stato sottoposto a provvedimenti disciplinari e denunciato allo stesso granduca, Cosimo III (1642-1723).

L’Ittieri, però, non si fa intimidire e in “scienza e coscienza” dispone che senza toccare il porto di Livorno, l’imbarcazione riprenda la sua navigazione verso Marsiglia, dove le autorità portuali francesi la mettono sì in quarantena, ma non possono evitare il contrabbando del carico, costituito prevalentemente da tessuti che ospitano le pulci infette. Tardive, per non danneggiare il commercio, le misure prese per contrastare l’epidemia di peste bubbonica che dilaga, prima nella zona del porto, e poi investe la città e il contado, allargandosi alla Provenza, alla Linguadoca, alle città di Tolone, Arles, Avignone... E il bilancio delle vittime supera le centomila. È l’ultimo, tragico, devastante episodio di peste bubbonica in Europa.

Intanto nella città labronica fino all’autunno inoltrato del 1720, per rendere grazie dello scampato pericolo, si susseguono, ininterrotte, le processioni delle pie confraternite livornesi alla Madonna di Montenero, considerata dai più come l’artefice del miracolo di aver allontanato la peste dalla città.

E Marcellino Ittieri? Una meteora luminosa e breve la sua apparizione sul teatro della Storia della città sul mare Tirreno fondata, secondo la leggenda, da Ercole dal grande labbro. Poche battute le sue, ma di quelle decisive per il bene collettivo.

Allora, livornesi, gliela dedichiamo una strada?

Pin It

RICERCA NEL SITO