Ci piace, da sempre, da quando eravamo studenti alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma La Sapienza, leggere. E, da allora, di libri ne abbiamo non solo scritti, ma, anche e soprattutto, divorati. Ogni volta che ci troviamo in mezzo agli scaffali di una libreria o anche di un negozio di volumi antichi o in una biblioteca, restiamo affascinati e anche un po' intimiditi. Poi, quando entriamo nelle case delle persone che andiamo a trovare per la prima volta, restiamo più o meno compiaciuti nel vedere eventuali pile di libri sistemati un po' qui e un po' là. Negli anni della nostra beata incoscienza eravamo soliti frequentare, in una Roma, ormai, inesistente, le abitazioni di molti intellettuali, professori, giornalisti, politici, professionisti che, in un modo o nell'altro, con la cultura e la nostra passione per la Storia andavano a braccetto quotidiano. Ascoltavamo e scoprimmo, così, di avere avuto una nutrita squadra di maestri le cui lezioni non avevano orari o durata prefissata, ma venivano impartite nel corso di appuntamenti più o meno conviviali o al termine di pomeriggi estivi e anche invernali trascorsi a comprendere come questo Paese era arrivato fin là.
Uomini di educazione li chiamava Giuseppe Mazzini e aveva ragione. Questo vale per tutto, anzi, per tutti. Si nasce vuoti, spogli, senza alcun tipo di protezione, ma si può, col tempo, accrescere la nostra formazione, con la mente che può essere allenata esattamente come un muscolo e che sa regalare qualcosa che non perderà mai il proprio 'tono', l'acquisizione di una maturità che, assieme alla vita concreta, aiuta a diventare quel che siamo diventati. Leggere un libro, così, equivaleva ed equivale, per noi, ad aumentare lo spessore della nostra conoscenza, alla fine di ogni volume, se abbiamo scelto bene e letto, in particolare, bene, siamo senza dubbio più ricchi di prima.
Leggiamo di tutto, ma ci appassionano le autobiografie, sportive anche, perché no?, chi lo ha detto che chi pratica sport e guadagna cifre astronomiche sia un perfetto ignorante incapace di insegnare qualcosa?
L'amica Gina Truglio della libreria Ubik di via Fillungo accontenta ogni tanto la nostra curiosità anche se, ad essere sinceri, un tempo leggevamo molto, ma molto di più. Ultimamente ci siamo rituffati nel nostro maestro di noir, Massimo Carlotto, che abbiamo intervistato e incontrato più volte. Poi, però, abbiamo voluto leggere prima Adrenalina, il libro di Ibrahimovic e, proprio qualche giorno fa, La partita della vita, l'autobiografia di Sinisa Mihajlovic scritta con Andrea Di Caro.
Al di là del fatto che non riusciamo a comprendere come ci possano essere persone che non leggono mai un libro e che, addirittura, si vantano di non averlo mai fatto durante la loro insulsa esistenza, non comprendiamo nemmeno gli pseudo intellettuali a un tanto al chilo che disdegnano tutto ciò che è sport e competizione sportiva. Come se chi si dedica all'attività fisica fosse o avesse qualcosa di meno nel tentare di raggiungere gli obiettivi che si pone. In realtà ci sono sicuramente sportivi ignoranti, ma anche molti che, pur ritenendosi intelligenti e non essendo sportivi, sono ancora più bestie.
Certo, siamo appassionati anzi, malati di sport. Lo sport e la sua pratica ci hanno aiutato nei momenti più cupi della nostra vita, la competizione, poi, ci ha insegnato a raggiungere con sacrificio e disciplina le mète che volevamo raggiungere. Non abbiamo mai primeggiato, ma non importa, quel che conta è aver cercato di migliorarsi sempre, avendo sempre davanti la convinzione che soltanto con la volontà e la costanza si possono conquistare traguardi che anche se non sportivi, rappresentano, comunque, un obiettivo che vale la pena di raggiungere per ognuno di noi.
Il libro di Mihajlovic-Di Caro è uscito nel 2020, quando sembrava che l'odissea e il supplizio dell'ex giocatore di Lazio e Inter e allenatore del Bologna fosse arrivato ad una positiva conclusione. Purtroppo così non è stato. Ma anche a distanza di un anno dalla scomparsa leggere queste pagine rappresenta, paradossalmente, un inno alla vita poiché da esse traspare regala un messaggio di grande attaccamento alla vita. E, poi, è un piacere divorarle una dopo l'altra e apprendere quanti sacrifici, ma anche quante gioie un uomo, quest'uomo, ha provato.
Dall'infanzia, povera, in Serbia allo sbarco nella massima seria calcistica e alla conquista della coppa dei campioni con la Stella Rossa, il trasferimento in Italia, l'approdo alla Roma e, poi, alle altre squadre. La sua grinta, il suo modo di essere e di pensare, il mai arretrare di fronte a niente e a nessuno, un'esistenza concepita come una sfida quotidiana per raggiungere sempre qualcosa in più rispetto al punto dove si è arrivati. E poi la vita privata, il figlio non voluto, ma che si è stati costretti ad accettare e con il quale il rapporto non è mai decollato anche se il padre si è fatto carico di tutti i bisogni e le esigenze materiali legati al suo mantenimento. Il giocatore serbo si mette a nudo e non nasconde niente. Si passa al setaccio o meglio ancora ai raggi x. Si confessa, ammette le proprie debolezze senza vergognarsene e, alla fine, ammette che la malattia, incredibilmente, lo ha reso un uomo migliore che non dà più niente per scontato e che sa apprezzare e godere anche delle piccole cose.
E' un libro che commuove, ma che aiuta a crescere. Un libro che, in particolare, i più giovani dovrebbero leggere e, perché no?, soprattutto i giovani calciatori. Sinisa ci ha sempre messo la faccia e ha pagato di persona tutte quelle volte che c'è stato bisogno di pagare. L'amore dei suoi figli e di sua moglie sono la testimonianza più vera del suo aver vissuto nel modo migliore. Persona apparentemente burbera per non dire peggio, ma con un cuore grande così e altrettanta sensibilità. Lo abbiamo divorato e ci è piaciuto. Storie di vita che insegnano come anche i calciatori più famosi e più ricchi sono, in realtà, persone che, come tutte le altre, devono affrontare anche le complicanze e le complicazioni che ogni vita contiene.
Quando un uomo riesce a combattere la più difficile delle battaglie, quella contro la morte incombente, e riesce a sconfiggerla, per assurdo, almeno una volta, guardandola in faccia e senza nascondersi né nascondere le proprie paure, beh, quell'uomo può dire di non aver vissuto invano. Con la stessa millimetrica precisione con cui infilava le sue magistrali punizioni, Mihajlovic ha ribattuto colpo su colpo la malattia costringendola a retrocedere, a ritirarsi, a rinunciare ai suoi immediati propositi. Poi, per carità, ha dovuto soccombere, ma lo ha fatto da uomo verticale, senza implorare pietà e senza prendersela con chissà chi: è, relativamente, facile vivere bene. Molto, molto più difficile è morire bene. La forza di volontà mostrata da quest'uomo lo rende una sorta di eroe dei nostri tempi, un eroe che non rinuncia mai a credere nei propri sogni e a quello che può e deve fare, provare a fare, per realizzarli. Lascia un vuoto enorme ed è comprensibile tra i suoi familiari, ma non soltanto. In questa società di invertebrati, ce ne vorrebbero a dozzine di uomini così.