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Scritto da aldo grandi
StoricaMente
08 Novembre 2022

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... Nel presentarle pertanto a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate e di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage. Tutti riconoscono, d'altra parte, che è salvo, nell'uno e nell'altro campo, l'onore delle armi; ascoltate dunque là Nostra preghiera, accogliete l'invito paterno che vi rivolgiamo in nome del Redentore divino, Principe della pace. Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che Voi avete l'assoluto dovere di procurare.

Era il 1 agosto 1917 e il papa Benedetto XV scrisse una lunga missiva ai capi dei popoli belligeranti affinché si rendessero conto della tragedia a seguito della quale milioni di esseri umani avevano trovato e stavano trovando la morte. Come sempre accade in questi casi, le parole del pontefice restarono lettera morta e il sangue continuò a scorrere per un altro anno e più. 

La fine della guerra, l'anno successivo, la firma dei trattati di pace alla conferenza di Parigi nel 1919, sembrarono in grado di poter eleiminare una volta per tutte il rischio di un conflitto che tornasse a distruggere l'Europa e il mondo cosiddetto civilizzato. In realtà, al contrario, gli accordi di pace altro non fecero se non lasciare in sospeso situazioni che, più avanti, sarebbero nuovamente esplose provocando un ancor più tragico scontro.

Ma in quei mesi successivi alla fine della Grande Guerra, che di grande aveva avuto ben poco se non nelle entusiastiche ed eroiche cronache dello Stato Maggiore Italiano, l'Italia si spaccò in due tra coloro che odiavano il conflitto e tutto ciò che si era portato dietro e gli altri, quelli che, in guerra, ci erano andati davvero ed erano tornati non certo per sentirsi sputare addosso o, peggio ancora, umiliare giorno dopo giorno da chi, invece, era rimasto a casa. Di sicuro tutti sapevano che niente sarebbe stato più come prima, visto che masse enormi di uomini erano stati sradicati dalla terra dove vivevano da secoli e trasportati lontano per andare a combattere non si sa bene per cosa o, almeno loro, neanche lo immaginavano.

Il nostro sfasciato, già allora, Stivale, ebbe centinaia di migliaia di caduti e l'Inutile strage di papa Benedetto XV avrebbe trovato solamente in una storiografia, questa sì, giustamente, revisionista, ma solo negli anni Settanta-Ottanta, il coraggio di raccontare che cosa, realmente, fu quel conflitto. Non erano stati sufficienti i libri-testimonianza di Paolo Monelli (Le scarpe al sole), di Emilio Lussu (Un anno sull'altipiano), All'Ovest niente di nuovo (Erich Maria Remarque) e altri ancora a sconfiggere quell'atmosfera di esaltazione post-bellica che trovò nel fascismo il principale artefice. E fu proprio durante gli anni del Ventennio, in particolare tra il 1922 e il 1930, che un po' in tutto il Paese furono realizzate opere di varia natura in ricordo del sacrificio dei soldati italiani morti nelle trincee e negli attacchi tesi a fronteggiare il nemico.

Molti, molti più di quel che si credeva, scelsero, consapevolmente, di rifiutarsi di andare alla carica con la baionetta e, per questo, vennero fucilati come raccontò, meravigliosamente, in un suo indimenticabile libro a quattro mani con Enzo Forcella - altra figura di grande intellettuale - il professore di Storia Moderna all'Università La Sapienza di Roma Alberto Monticone, ex presidente dell'Azione Cattolica e storico che aveva studiato a fondo la prima guerra mondiale: Plotone di esecuzione. Il volume uscì nel 1968 sull'onda di una tendenza realmente tesa a rovesciare quelli che erano stati gli stereotipi fino a quel momento in voga sulla guerra igiene del mondo e sull'entusiasmo che aveva condotto a morire ragazzi poco meno e poco più che ventenni.

Ebbene, pensavamo anche a queste cose, all'inutilità della morte anche quando si cerca di attribuirle, come in questo caso, una patina di eroismo che di eroico aveva ben poco, questa mattina camminando lungo viale della Rimembranza a Monte San Quirico, imbattendoci nel monumento - se così ancora vogliamo definirlo, con un elmetto splendido per fattura dei fanti del regio esercito - dedicato alla memoria dei caduti. Ma ciò che più ci ha colpito e non ne eravamo, sinceramente, al corrente, sono stati i cippi posti ai lati della strada, in un senso e nell'altro, recanti una targhetta che adesso è divenuta illeggibile, i dati di ogni soldato (m)andato non si sa bene per quale ragione anche se adesso e non solo hanno sempre cercato di dirci per condurre a termine il Risorgimento. 

Questi cippi così abbandonati sopra i quali, però, per questa ultima ricorrenza del 4 Novembre qualcuno, una mano gentile, ha posto un piccolo crisantemo, rendono perfettamente l'idea di come la morte sia, realmente, la fine di tutto al di là di ogni concezione ultraterrena. Alcuni numeri sono leggibili e si apprende che questi sfortunati giovani, morti tutti o quasi nel 1918, sono ormai stati dimenticati, nessuno sa chi erano, quali famiglie avessero lasciato, se sposati e con figli. Ragazzi come quelli di ora, strappati alla vita senza che, ormai, nessuno si rammenti di loro o anche faccia solo finta di provarci. Che senso ha avuto morire per chi?

Restituire vita a chi, ormai, nemmeno sa se è mai vissuto, non è essere, come sostengono alcuni, di destra o fascisti o guerrafondai. Vuol dire solo ricordarsi di chi è stato carne e ossa e ha avuto una vita, degli affetti, un lavoro, una storia. In verità e in realtà, non c'è solo il milite ignoto, perché dopo alcune generazioni ignoti lo diventiamo tutti con l'unica differenza che quei giovani abbandonati nei cippi ai lati della via e anche fastidiosi per le auto, non hanno avuto nemmeno il tempo di vivere quel che noi, al contrario, abbiamo vissuto.

Per questo, forse, a partire da Mario Pardini che vive, proprio, sul viale della Rimembranza a Monte San Quirico, potrebbe-dovrebbe adoperarsi per restituire un minimo di dignità a questo parco della Rimembranza che, così com'è, di rimembranza non ha, veramente, nulla.

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