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Scritto da cinzia guidetti
Summer Festival
06 Luglio 2023

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Tende rosse a fare da sfondo, abiti neri, e luci gialle sul palco. Una scenografia minimale per il concerto di Bob Dylan al Lucca Summer Festival di questa sera (giovedì 6 luglio). La figura del cantautore 82enne si confonde con il pianoforte. Un concerto intimo, quasi più adatto ad un teatro, che ad una piazza. Monitor laterali spenti per creare di più l'atmosfera, e niente cellulari - come già annunciato -, blindati, con dei dispositivi simili all'anti-taccheggio, dentro dei sacchetti che non permettono di poter vedere neanche lo schermo; anche se non è mancato chi ha eluso la sorveglianza e ha fatto foto e video. L'atmosfera intima è per presentare l'ultimo album “Rough and rowdy ways” uscito durante la pandemia e che ha un proprio tour mondiale iniziato nel 2021 a Milwaukee nel Wisconsin - con quattro date italiane (Milano, Lucca, Perugia, Roma) - e in scaletta tutti i brani del disco tranne "Mourder most foul".

Il pubblico è quello che con Bob Dylan c'è cresciuto e c'è pure invecchiato. I giovanissimi sono veramente pochi. In platea tutti sono attenti. Ai lati - nei posti in piedi - c'è chi forse, memore dei concerti passati - avrebbe voluto qualcosa di più rock invece che ballate, brani blues e più meditativi. Tanto che a qualcuno scappa anche detto: "Ma sono tutti uguali". Il chiacchiericcio è spesso incessante e la roca voce di Bob Dylan non sempre facile da decifrare. Ma alla fine sono pochi i disturbatori: la maggior parte delle persone è lì per ascoltare, in religioso silenzio, e senza distrazioni, cosa ha da dire il cantautore. Sanno che in scaletta non ci saranno i classici, non ci saranno pezzi rock, una sola cover ("Not fade away"),  "When I paint my masterpiece" - molto apprezzata - ma non per questo non incitano il loro idolo, tanto che alla fine di "False prophet" Dylan si alza in piedi, un movimento quasi impercettibile dietro al piano, e dalla platea parte un fragoroso applauso. 

Ad affiancare il leader, Doug Lancio e Bob Britt alle chitarre, Tony Garnier, dietro Dylan, al basso, Donnie Herron al pedal steel, violino e chitarra e Jerry Pentecost alla batteria: una compatta band che è capace di esaltare e rendere dinamico il concerto, dato che Dylan sembra quasi cantare più per se stesso che per il pubblico. Non strizza l'occhio alla platea, si capisce dai brani in repertorio, ma alla platea non interessa perché loro sono lì per Bob Dylan. Durante il concerto si lascia scappare due "grazie" che fanno impazzire i presenti, e poi il concerto continua. Ed è su "To be alone with you" che la piazza sembra svegliarsi dal torpore in cui è sprofondata con i primi brani (ma siamo circa a metà della scaletta), per poi venire completamente rapita dagli oltre 9 minuti di "Key west".

Il concerto (un'ora e 40 e 15 brani) si chiude con "Every grain of sand". Il pubblico gli dedica una standing ovation, Dylan e band ringraziano e le luci si spengono. La platea resta congelata e partono gli applausi per chiedere il bis che non ci sarà.

Un concerto asciutto, minimale, ma allo stesso tempo toccante dove - senza le luci dei display dei telefoni cellulari - la musica è tornata ad essere la sola protagonista.

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