Anno XI 
Giovedì 9 Maggio 2024
- GIORNALE NON VACCINATO

Scritto da aldo grandi
U-BOAT
28 Novembre 2023

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Si può resistere alla tentazione? Certamente, basta sapersi imporre una robusta forma di autodisciplina che, almeno in materia gastronomica, è, almeno per noi, impossibile da trovare. A metà mattina squilla il cellulare e all'altro capo, si fa per dire, del filo, c'è Italo Fontana, il fondatore di U-Boat, l'unica marca di orologi italiani che, di proprietà italiana, è riuscita ad imporsi nel mondo. La proposta è di quelle indecenti: un invito a pranzo, così, improvvisato, tra alcuni amici con la promessa di un vino da far paura e, sul tavolo, una bistecca in grado di far andare di traverso la bile a tutti i vegani e vegetariani di questo mondo. Pochi secondi per decidere, una vita, ma, alla fine, non si può respingere una tentazione del genere.

Da Marlia, dove ci troviamo a far visita agli amici di Animali Giusti Francesca e Massimiliano, il tragitto per raggiungere Gragnano e casa Fontana è non breve, di più. Saliamo la strada per raggiungere la villa e costeggiamo la piscina che, adesso e sfortunatamente, è chiusa e coperta. Peccato. Ci accolgono i dalmata di Italo e di Albaclara, fratello e sorella, eleganti come si addice a questa razza. 

Ad attenderci ci sono Maurizio Vichi, chef e titolare di Bi.Di.Ba. (Birra di Baviera), un bel locale dove si mangia niente male e si sta molto bene in compagnia in quel di Chifenti, comune di Borgo a Mozzano. Accanto a lui un giovanissimo cuoco di origini estoni, ma, ormai, da ben 18 anni in Italia: Aleksei Mihaljov. Poi Cesare Fontana, fratello di Italo e di altri tre che sono Abramo, il più piccolo, Belinda e Susanna. Pensare che tra Italo che è il più grande e il più piccolo Abramo corrono ben 22 anni, incredibile: "Avrei potuto fare io un figlio a quell'età e, invece, lo fecero i miei genitori". Tra i commensali c'è anche Simone Costa che, con il fratello, gestisce la pizzeria da Umberto in piazza Napoleone, un must

Le presentazioni sono informali, bene o male, più bene che male, ci si conosce tutti. Maurizio Vichi si è portato dietro una bistecca alta cinque dita, direttamente dalla macelleria Media Valle Carni e anche qualche salsiccia. Dice che sono strepitose, vedremo. Intanto è al fornello della cucina a vista sistemata in una isola in mezzo ad una enorme sala con vetrage sulla campagna lucchese. Nell'acqua bollente cuociono le linguine destinate ad essere cosparse di tartufo d'Alba bianco che Vichi maneggia con cura nemmeno si trattasse di pepite d'oro.

Tutti a ceccia, finalmente e dopo un aperitivo che rifiutiamo con gentilezza e parsimonia, ecco sbarcare sulla tavola apparecchiata con gusto e semplicità la pasta su cui viene grattugiato il tartufo senza badare alla quantità. Azz... che roba. 

Arriva anche la prima bottiglia di vino rosso: è un Tignanello 2020 scaraffato un po' di tempo prima di essere versato nei calici. Che dire? Meglio stare zitti e andare avanti. I 750 ml della cantina dei marchesi Antinori nel cuore del Chianti Classico, sulle morbide colline racchiuse tra le valli della Greve e della Pesa. Lo stemma di famiglia troneggia in bella vista sull'etichetta ormai conosciuta a tutti quelli che amano il buon bere. E, infatti, dura da Natale a Santo Stefano nel senso che, tempo una ventina di minuti, se ne è già andata.

Tutti hanno al polso un orologio U-Boat, Maurizio Vichi, amico dai tempi del Piaggione, addirittura uno dei primi e pochi modelli usciti, in tutto una cinquantina, agli albori dell'impresa sul finire degli anni Novanta del secolo scorso.  Di orologi, però, non si parla, piuttosto di cibo e di viaggi. Niente donne, almeno per ora.

La bistecca è sul fuoco della brace sottostante, qualcuno la sta girando e rigirando insieme alle salsicce. Nel frattempo atterra docilmente e dolcemente sulla tovaglia il Mille e una notte di Donnafugata 2019, direttamente dalla Sicilia dove i coniugi Giacomo Rallo e sua moglie Gabriella fondarono il marchio nel 1983. In realtà i Rallo coltivano vigneti da ben quattro generazioni. Perché il nome Donnafugata? Trae origine da Il Gattopardo, il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e rimanda alla regina Maria Carolina che, in fuga da Napoli, trovò rifugio là dove oggi si trovano i vigneti aziendali. Una storia che ha ispirato anche il logo: un volto di donna con i capelli al vento. Vino corposo, intenso, importante. La bottiglia, per svuotarsi, all'incirca impiega lo stesso tempo del Tignanello. 

Sopra un tagliere di legno accompagnato a due mani come un dono dei re magi, ecco, finalmente, sua maestà la bistecca. Come la guardi la guardi, è stupenda, profumata, arrapante, stimolante, invitante, eccitante. Incredibile, ma i due amici a quattro zampe nemmeno si infiammano e, anzi, restano a dovuta distanza. Per loro, spiega Italo, solo crocchette ad hoc e niente cibo di strada che altrimenti si sentono male avendo uno stomaco particolarmente delicato e abituato al secco.  

Il terzo vino è un Barolo Gianni Gagliardo 2019, nettare piemontese prodotto nella zona vitivinicola La Morra. Ad essere sinceri siamo rimasti colpiti più dai primi due, ma siamo consapevoli della nostra ignoranza in materia. Ciò non toglie che il Tignanello resta, per noi, il top.

E' mister Vichi che taglia la bistecca, del resto e probabilmente, anche l'unico che sa come si fa. La carne è tenera ancora più del burro, impossibile non riuscire a masticarla e a farsela andare giù per quel tubo digerente che dovrebbe chiamarsi esofago e raggiungere lo stomaco. Per non parlare delle salsicce, favolose. Siamo stati anche, durante un breve periodo della nostra gioventù incosciente, vegetariani, ma in età adulta abbiamo cominciato a comprendere quello che ci eravamo persi e ci stavamo perdendo. Carne rossa fa male, ma un paio di volte alla settimana si può fare. Non di più, ma perdonateci la franchezza: come va giù il vino rosso buono con la bistecca è qualcosa di indefinibile.

C'è un pensiero anche per l'amico Mimmo D'Alessandro, compagno di ripetute libagioni, lui che la carne non la tocca da decenni e noi che lo salutiamo non invidiandolo più di tanto. Mister Fontana aveva recentemente manifestato l'intenzione di rinunciare alla bistecca, ma a quanto vediamo, ci deve aver ripensato. Pranzo, quello di oggi, per soli uomini e tacciateci pure di maschilismo anche se non è così. Di sicuro nessuno di noi si sognerebbe di declinare al femminile alcuni termini entrati in voga grazie al politicamente corretto e al Pensiero Unico Dominante: per noi avvocato resta avvocato, sindaco resta sindaco, consigliere resta consigliere e via di questo passo.

Il contorno è costituito da fagioli cotti al forno, altro piatto ricco nel quale tuffarsi senza timori. Il Barolo fatica a svuotarsi, così il padrone di casa reclama il prossimo 'agnello sacrificale': è l'ora del Barbera, altro vino piemontese, un Favà Nizza docg 2021 della tenuta Garetto, direttamente da Agliano Terme, il paese del Barbera. Le salsicce sono straordinarie e, inutile dirlo, le addentiamo ripetutamente senza vergogna alcuna, ma non siamo i soli.

Per abitudine e conformazione caratteriale, a tavola non amiamo fare prigionieri: si mangia quel che si ha nel piatto. E' una regola alla quale ci siamo sempre attenuti e alla quale siamo stati educati. Si prende solo quello che si mangia. Non si lascia niente di ciò che si è messo sul piatto, quindi è bene fare attenzione e, nel caso, saper rinunciare a qualcosa. Soprattutto, ad esempio, quando si frequentano gli all inclusive made in China. Niente a che vedere, ovviamente e nemmeno alla lontana, con il pranzo di oggi. I 'musi gialli' possono copiare tutto, ma la cucina italiana non riusciranno mai ad eguagliarla. 

E' rimasto l'osso, bene in verticale e, se così si può dire, ancora con la sua ciccia attaccata in attesa che qualcuno lo addenti senza alcun rispetto. Nessuno, però, si azzarda. Così si passa ad un panettone prodotto dal fratello di Simone, Umberto, quello del locale nel centro storico. E' un soffice panettone per niente carico di burro, il giusto. Poi Italo, direttamente da Los Angeles, mette in tavola un vassoio contenente una sorte di croccante con noccioline e burro salato, ma dolce grazie alla copertura di caramello mou o così ci pare. E a questo punto fa il suo ingresso scena la sesta bottiglia che, forse, avremmo dovuto aprire prima: è un Amarone della Valpolicella Classico 2015 dell'azienda Giuseppe Quintarelli. Uno dei siti più in voga dedicati al vino e alla sua vendita, così lo descrive:

Amarone della Valpolicella Classico di Giuseppe Quintarelli è fiore all’occhiello per tutto il Made in Italy. Eleganza e potenza si fondono all’interno e si aprono in tutta la loro maestosità all’assaggio. Lunga maturazione di 7 anni in piccole botti di rovere di Slavonia. Straordinaria complessità, impeccabile eleganza, potenza espressiva e lunghissimo potenziale di invecchiamento sublime.

Il prezzo ne è la testimonianza perfetta: 330 euro al pubblico. 

E' la prima volta che assaggiamo un Amarone di questo livello e l'esperienza è assolutamente gratificante sotto tutti i punti di vista. Anche il Tignanello, sebbene diverso, fa fatica a stargli dietro, figuriamoci accanto. Due eccellenze del nostro Paese. Unico. 

Il giovanissimo estone è un ragazzo simpatico, viaggia in coppia con Vichi e lavora presso il suo ristorante. Ama l'Italia e, ma lo si vede chiaramente, le belle cose e la bella vita. Nonostante l'età, appena 23enne, conosce le bottiglie a menadito e le annate migliori. Restiamo basiti. Noi, alla stessa età, al massimo avevamo assaggiato un Turà o, al massimo, un Lancers frizzante e rosato che ci sembrava il top del top. Ed è tutto dire. Costo attuale di una bottiglia dalla classica forma di questo vino portoghese, è circa 5 euro. Come si suole dire a Roma, fatte 'na domanda e datte 'na risposta

La brigata va avanti nella degustazione e, a quanto pare, è in arrivo una bottiglia di champagne portata da Simone Costa. Ci invitano a rimanere, ma a tutto c'è un limite e, poi, chi lo fa il giornale?, anzi, i giornali? Noi. 

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