C'era un paradiso per niente perduto in via Fillungo 242, giusto dove è sempre stato, almeno, da quando ce lo ricordiamo noi. E c'è ancora oggi. Un luogo dal quale, ad ogni passaggio, a piedi o in bici per la velocità ridotta, potevi gustare il profumo del formaggio fuoriuscire dal negozio di Giovanna Nardi e del figlio Franco Pieracci. Ebbene, in questa nostra ormai ultratrentennale permanenza in terra lucchese, mai avevamo varcato la soglia del locale e, un po' per caso e un po' per la necessità e il piacere di voler sorprendere gastronomicamente i commensali della nostra cena di stasera, questa volta abbiamo puntato direttamente lì, a due passi e anche meno da piazza S. Maria.
Franco Pieracci, 53 anni, lucchese doc abitante da sempre in via Fillungo, casa e chiesa con il negozio, è dietro il banco e la storia che racconta è quella dell'ennesima eccellenza lucchese che non tradisce e non abbandona la tradizione, ma, anzi la porta avanti con coraggio - ci vuole coraggio, di questi tempi, a non mollare - passione e orgoglio. Il suo locale ha il pregio di voler educare all'assaggio del formaggio, uno dei cibi tradizionali più gustosi e caratteristici del nostro Paese, questo Stivale che, a dispetto di una classe politica inutile e, spesso, dannosa, partorisce quotidianamente e da secoli il genio dell'arte in tutti i campi dello scibile umano.
E' stato Aldo Pieracci, papà di Franco, ad aprire, nel lontano 1966, quella che, un tempo, era conosciuta per essere 'La latteria del prato' visto che, nei paraggi, una volta c'erano proprio i prati. Papà Aldo si svegliava ogni giorno alle 3 di notte e attraversava il fiume Serchio per andare alla vecchia stalla a prendere i bidoni del latte e portarli nel negozio che si trovava a pochi metri da quello di oggi. Qui, poi, procedeva alla vendita con i bicchieri del comune bollati e in alluminio per misurare la quantità del latte. Con l'avvento del tetrapak, la decisione di mutare location e spostarsi dove sono adesso e, soprattutto, sostituire al latte il formaggio.
Una scelta che è partita concretamente con l'apertura dell'attuale negozio nel 1981. "Perché uno dovrebbe venire alla Cacioteca? - risponde alla nostra domanda Franco Pieracci - Perché questo è un locale che vuole uscire dallo stereotipo che in Toscana si mangia solamente pecorino. Ad esempio noi collaboriamo regolarmente con l'ONAF, Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio, e ogni anno, a dicembre, è possibile acquistare ed assaggiare un Parmigiano Reggiano stagionato 100 mesi ossia dieci anni. Noi vendiamo regolarmente Parmigiano Reggiano non inferiore ai 36 mesi di stagionalità. Com'è quello 'vecchio' di dieci anni? Diciamo che è un prodotto da meditazione che si abbina perfettamente o con un bollicine, vedi champagne per esempio o anche Franciacorta, o con un rosso strutturato".
Franco Pieracci ha le idee ben chiare su ciò che sia il formaggio di qualità: "Qui da noi si può trovare qualunque tipo di formaggio italiano, anche quelli più rari e costosi. Basta ordinarli e noi ci attrezziamo per portarli qua. Per noi, infatti, il chilometro zero è tutta la Toscana e non soltanto. Abbiamo rapporti di amicizia, ormai, con le nostre aziende fornitrici. Per me, in una società dove siamo tutti solo dei numeri, avere amici sul lavoro è una cosa importante anche se, poi, diventa un problema quando li devi mandare a quel paese. Scherzi a parte, abbiamo una filiera vastissima che ci consente di acquistare e vendere ai nostri clienti il meglio del meglio. Abbiamo anche alcuni affettati come, ad esempio, una cosa rara e preziosa, il vero prosciutto di cinta senese che ci vende un amico che abita al confine tra Toscana e Umbria, l'azienda San Pietro di Andrea Neri. La caratteristica del prosciutto di cinta senese è che ha grassi polinsaturi e non saturi che fanno peggio alla salute. Da provare perché una volta assaggiato, non se ne fa più a meno".
La Cacioteca