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Scritto da aldo grandi
Enogastronomia
07 Dicembre 2022

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Sarà stata anche la cena dei... bolliti, ma a noi è sembrato che tutti i commensali fossero belli arzilli e, al termine, anche satolli. Del resto non sarebbe potuto essere diversamente visto che la serata era stata organizzata, come ogni anno, ormai, nel regno enogastronomico della famiglia Barattini, con Aurelio ai fornelli capace di stupire con la sua cucina fedele alla tradizione emiliana che esalta le sue origini emiliane. 

Un appuntamento full-up, da tutto esaurito da tempo e al quale noi della Gazzetta di Lucca, il Cip e l'irresponsabile direttore, eravamo stati invitati dall'amico e assicuratore Flavio Torrini, fratello del presidente del consiglio comunale Enrico che, sia pure con un'altra tavolata di amici, era presente e, per di più, con 14 chili di meno di quando, questa estate e subito dopo la vittoria elettorale al comune di Lucca, si era tuffato, armi e vestiti, in una piscina insieme ad altri esponenti di un centrodestra che, finalmente e dopo dieci anni, era riuscito a vincere la competizione amministrativa.

Nella sala adiacente all'ingresso, anche Paladino Meschi e signora, un appassionato delle due ruote e titolare del negozio Chronò in Corso Garibaldi divenuto un punto di riferimento importante per i turisti provenienti da ogni parte del globo. Di fronte o quasi, il pasticcere più famoso d'Italia, il lucchese Damiano Carrara accanto alla moglie. Altrove, seduto con numerosi commensali, Massimiliano Martinelli, gestore del ristorante Il Borghetto a Nozzano castello dove abbiamo mosso, a metà anni Novanta, i primi passi alla scoperta dei ristoratori lucchesi.

A fine serata è piombato, proveniente da un'altra cena, quella dei paracadutisti d'Italia, il sindaco Mario Pardini che, se desse retta a tutti gli inviti, non metterebbe più piede a casa e prenderebbe con sé tutti i chili che, al contrario, Torrini ha perduto.

Al nostro tavolo, oltre al fotografo onnipresente Ciprian Gheorghita, il Flavio Torrini da S. Pietro a Vico e Roberto Novelli, un imprenditore di origini bergamasche, nato e cresciuto a Johannesburg in Sud Africa e tornato in Italia e a Lucca nel 2009. 

Ma i veri protagonisti di questa straordinaria serata sono stati i fratelli Lamberto e Aurelio Barattini, la loro mamma signora Raffaella Tomei, lo staff del ristorante, professionale e di grande simpatia e cortesia. Tutti a correre a destra e a manca per cercare di rendere il bollito un trionfo della cucina italiana.

Aurelio Barattini lo avevamo sentito pochi giorni prima, ci aveva scritto da New York dove era impegnato per motivi di lavoro, e ci aveva mandato un audio con il messaggio che aveva preparato per ricordare Andrea Bertucci, il ristoratore di Castelnuovo Garfagnana proprietario del Vecchio Mulino, che spesso andava a trovarlo a Sesto di Moriano. E' in perfetta forma, sorridente, felice, riesce a trasmettere il suo entusiasmo, contagioso, a chiunque varchi la soglia d'ingresso dell'Antica Locanda. 

La cena è un omaggio alle origini emiliane del padre e appena seduti, sbarca sul piatto un culatello di Zibello accompagnato da alcune fette di una mortadella Bologna che ci riporta alla mente le enormi mortadelle che Bertucci, l'Indiana Jones della Garfagnana, esponeva nel suo locale e che tagliava col coltello. Sapori inebrianti.  In un contenitore di vetro c'è anche il formaggio squaquerone e, nelle vicinanze, un bel gesto di tigelle altrimenti dette anche crescentine, piatto tipico della cucina bolognese.

Il vino? C'è quello che produce la famiglia Barattini, il rosso Maolina, ma c'è anche una bottiglia di lambrusco che merita di essere testata. E' uno Schiroli, rosso frizzante del podere Beghetto a Gargallo di Carpi in provincia di Modena. Uve raccolte a mano dopo un'accurata scelta, 12 gradi e va giù che è un piacere. 

I nostri avi da parte paterna provenivano tutti da Ferrara, la terra degli Estensi, in particolare da un comune denominato Iolanda di Savoia in onore della prima figlia, nata nel 1901, di re Vittorio Emanuele III detto anche re Sciaboletta per via della sua statura non proprio altissima. Terra di mezzo per certi aspetti, bagnata dal Po, a due passi dal Veneto, pianura Padana, nebbia fitta durante gran parte dell'anno, alimentazione ricca di sostanza, poche seghe nella crescita e famiglie contadine bracciantili che si spaccavano in quattro e anche di più per tirare avanti. Sulla tavola arrivava, quando era possibile, roba ipercalorica, ma era inevitabile. Noi, ricordiamo, a colazione mangiavamo cocomero, in estate e fette di salame agliato. Altro che cornetti vegani e niente insaccati. A queste latitudini gli insaccati sono di rigore e, con essi, anche tutto il resto.

Come si può non tuffarsi in un mare di brodo quando, al suo interno, galleggiano o quasi i tortellini in brodo di gallina fatti in casa da mamma Raffaella Tomei? Piatto squisito e adatto all'atmosfera del ristorante che trasmette analoghe emozioni a quelle che provammo quando, tanti anni fa, vedemmo per la prima volta il film di Bernardo Bertolucci Novecento Atto I e Atto II. L'Italia com'era e come, purtroppo per certi aspetti, non è più, soprattutto non ne conserva più memoria e identità. 

Lo diciamo dopo anni passati a mangiare un po' qui e un po' là, con chef stellati e anche con cuochi che le stelle, se volevano vederle, dovevano uscire fuori dalla cucina e osservare il cielo nelle notti limpide. Ma se la nouvelle cuisine ottiene stelle a grappoli, quella italiana tradizionale e di Aurelio Barattini in particolare - e non solo di lui - quante stelle Michelin dovrebbe avere? In realtà, la puzza sotto il naso dei radical chic-choc ha finito per contaminare anche la tradizione gastronomica italiana.

Qualcuno, a posteriori, ha osservato che, forse, dopo i tortellini si sarebbe potuti e dovuti andare subito al bollito proprio per assaporarne meglio tutte le caratteristiche, ma Aurelio ha voluto stupirci con un piatto a cui non solo non si poteva dire di no, al quale non soltanto siamo prepotentemente e affettivamente legati, ma che, una volta in bocca, produce sensazioni ed emozioni fortissime: le lasagne alla bolognese. Attenzione, non quelle che si trovano nei comparti surgelati dei supermercati o anche nel prét-a-porter delle cucine senza spessore, bensì quelle che chef Aurelio Barattini ha sfornato dopo averne sovrapposte una sull'altra, una dopo l'altra fino ad arrivare a sette strati ripieni di besciamella e ragù. E noi, qui, abbiamo doppiato ed è già tanto che non abbiamo concesso il tris dietro le proteste dei nostri compagni di merenda pardon, di cena.

Poi, finalmente, il re dalla serata ha fatto la sua comparsa: il bollito anzi, il Gran Bollito. Quattro sono le regioni italiane più legate alla tradizione del bollito: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Aurelio, Lamberto e Raffaella hanno pescato nella ricetta emiliana: la sorra, la testina di vitello, la lingua, il cappello del prete, il biancostato, la gallina e il coteghino, il tutto con salse e mostarda. Come contorno purè di patate, spinaci al burro e cipolline in agrodolce. Noi ce lo siamo goduto fino in fondo, rinunciando ad un dolce strepitoso come il 'latte in piedi', ma consapevoli che, di più, nonci sarebbe entrato alcunché. Coteghino ottimo, per niente grasso, lingua meravigliosa e se anche noi nella nostra ignoranza non ci siamo mai sentiti dei patiti del bollito, niente da dire: chapeau!

Eravamo a dieta o così ci piaceva raccontare, ma stasera non potevamo non commettere un reato di natura gastronomica. La tentazione ci spinge a peccare e noi, purtroppo o per fortuna, per scelta, per caso o per conformazione caratteriale, alle tentazioni raramente siamo riusciti a resistere.

Foto Ciprian Gheorghita

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