Primavera e autunno, maggio, giugno, settembre e ottobre: questi i mesi migliori per visitare Roma. Ed è assolutamente inutile scegliere una location lontana dal centro, magari per risparmiare qualche decine di euro, e sottrarsi al fascino di pernottare e vivere, almeno un paio di giorni, nel cuore di questa città che definiscono, a ragione, eterna anche se, ci domandiamo, fino a quando. Ce lo chiedevamo, estasiati, di fronte alla Pietà di Michelangelo in San Pietro, mai come in questi tempi di Covid facile da accedere per una penuria di turisti che rende la coda e l'attesa assolutamente accettabili.
Questa volta abbiamo scelto di fermarci al Boutique Hotel Campo de' Fiori in via del Biscione, un albergo situato a pochi metri dalla piazza, meravigliosa, dove il 17 febbraio 1600 fu arso vivo dai cardinali dell'Inquisizione il filosofo e frate domenicano Giordano Bruno. Una statua resta a imperitura memoria al centro dell'area. Alle spalle, piazza Farnese, bellissima, con l'omonimo palazzo sede dell'ambasciata di Francia.
Per chi vuole sostare in centro esiste, ovviamente, il problema del parcheggio, ma sul lungotevere c'è il Parking Via Giulia che offre un ambiente pulito e sicuro a poche centinaia di metri dall'albergo, al prezzo di 24 euro al giorno. Una volta lasciata l'auto, non serve andare a prenderla bensì camminare o, al massimo, muoversi in taxi.
Arrivati alle 14 o giù di lì di un venerdì baciato da un sole caldo e con una temperatura di 25° - se non è estate poco ci manca e, invece, siamo a ottobre inoltrato - lasciamo incautamente, memori delle nostre vecchie abitudini risalenti agli anni Ottanta del secolo scorso, l'auto sul lungotevere proprio di fronte all'Ara Pacis dove si trova l'altare della pace fatto costruire dall'imperatore Augusto. Non ci sono altri posti e, del resto, in divieto di sosta c'è una lunga fila di vetture...
Imbocchiamo via della Scrofa dove una volta aveva sede il 'famigerato' Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante e, più tardi, Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, e, percorse alcune centinaia di metri sbuchiamo davanti al ristorante al quale abbiamo giurato fedeltà a prescindere, da Alfredo alla Scrofa appunto. Ci sediamo fuori e l'ansia per la paura di vederci rimuovere l'auto ci attanaglia sin da subito, ma non ci impedisce di fare un salto nel locale e scoprire una vecchia foto autografata, tra le centinaia appese alle pareti, di una giovanissima e prorompente Sophia Loren seduta al tavolo con il suo mentore produttore cinematografico Carlo Ponti.
Non ci sono problemi qui. Ordiniamo sempre la stessa cosa. Anzi, le stesse cose ossia un carciofo alla romana, un carciofo alla giudia e fettuccine all'Alfredo (vedere video) ossia fettuccine all'uovo sottilissime condite con solo burro e parmigiano invecchiato 24 mesi, una valanga di formaggio che avvolge, travolge e coinvolge un piatto devastante sotto tutti i punti di vista. Positivi ovviamente.
Nel pomeriggio raggiungiamo l'albergo dopo aver preso i bagagli dall'auto parcheggiata nel sotterraneo. La camera è la 302, terzo piano, con vista sulla piazza del Biscione. Gli arredi sono antichi, il soffitto a cassettoni, il bagno non è enorme, ma ci si muove bene. La facciata dell'hotel è unica: completamente ricoperta di edera ad eccezione delle finestre. Bellissimo, soprattutto, scopriremo, la sera, con le luci che rendono l'edificio uno spettacolo.
Ci muoviamo verso piazza Bologna, dall'altra parte della città, zona universitaria, in taxi. Appena 15 euro e una ventina di minuti scarsi per un percorso che, altrimenti, avrebbe richiesto un'ora minimo. Ci attende un apericena da un vecchio compagno di scuola, ex bancario da poco in pensione, che ha voluto prendere in gestione un piccolo locale in via Michele Di Lando specializzato in aperitivi e apericene. Si chiama Glory Hole, un nome che è tutto un programma e che rimanda a giochi erotici che, in questo caso, però, non ci sono proprio. Ci sono, invece, oltre ai taglieri di salumi e formaggi, i mitici supplì: non si può venire a Roma e non assaggiarli. Il cuoco che sa fare li prepara così: sul tavolo in marmo della cucina ammucchia una montagna di riso con ragù di carne al pomodoro o solo sugo al pomodoro. Quindi prende una manciata di riso, ci infila un cubetto di mozzarella, lo ricopre, fa una palletta o, meglio ancora, un cilindro e dopo averlo impanato col battuto d'uovo e pangrattato lo getta nella friggitrice. Si chiamano supplì al telefono perché quando si aprono la mozzarella, squagliata, forma un filo tra le due parti del supplì che si tengono con entrambe le mani. Una goduria.
E' tempo di Coronavirus anzi, di Covid-19 ché, poi, è la stessa cosa, ma fa meno paura. A Roma, nel Lazio e in tutta Italia da poche ore vige l'obbligo di indossare le mascherine anche all'aperto. Il giorno seguente ci sarà una manifestazione di coloro che contestano il Governo e i suoi pretoriani travestiti da virologi e infettivologi. Campo de' Fiori è invaso da migliaia di giovani, ragazzi e ragazze che si tengono la mascherina calata sul mento o, al massimo, sotto il naso. C'è anche chi rispetta la regola, ma viene da ridere a vedere tre carabinieri - ricordate la canzone di De André? - senza pennacchio però, che vanno in giro con tanto di registro per fare multe a chi non ha 'il mezzo burqa'. C'è anche la polizia locale, poi l'esercito, la Finanza e chi più ne ha più ne metta.
Facile multare ragazzi e ragazze, turisti e cittadini che si sono stancati di dover sottoporsi a questa dittatura sanitaria. Se al Governo ci fosse stata la destra sarebbe già scoppiata la rivoluzione. Saliamo e dormiamo come ghiri. I vetri doppi sono blindati.
Sabato mattina è giorno di mercato e Campo de' Fiori si anima presto. Quasi tutti sono bengalesi compresi quelli che gestiscono uno dei tre o quattro chioschi dove si degustano spremute e centrifugati con tutta la frutta possibile, soprattutto, esotica. Altro che cappuccino. Abbiamo bisogno di depurarci e una bella spremuta di melograno è salutare e benedetta.
In via dei Giubbonari c'è il bar-ristorante Riscioli, locale cult. Ci sediamo. Cappuccino e brioche non per noi, ma al tavolo accanto spunta un capolavoro: sono le Benedict Eggs con salmone, salsa olandese e maritozzo. Il maritozzo è una pasta dolce che, in genere, accoglie la panna per un connubio da strapazzo ipercalorico, ma a Roma è tradizione come la granita di caffè con panna. In questo caso il maritozzo è neutro e tostato. Prox volta non ce lo lasceremo sfuggire e, infatti, l'indomani, lo ordiniamo senza esitazioni: 12 euro, ma una volta nella vita si può fare.
Il sole ci abbraccia già da alcune ore visto che, di buon'ora siamo saliti sulla terrazza dell'hotel da cui si gode un panorama stupefacente su tutta Roma e i suoi magnifici tetti. In lontananza, ma neppure tanto, la cupola di S. Pietro e, a sinistra, il Gianicolo. Sul lato opposto l'altare della patria, uno dei più orribili monumenti mai realizzati e per costruire il quale fu devastato uno dei quartieri più ricchi di storia della città.
A qualcuno viene in mente di fare un salto in S. Pietro, una vita che non ci mettiamo piede e adesso che c'è Bergoglio, ancora meno. Ma non c'è niente da fare e, così, ci incamminiamo verso via della Conciliazione. Ai lati del colonnato e anche prima, clochards che bivaccano senza arte né parte. Roma è anche questo, come quelle tende di poveri disgraziati sul greto del Tevere. La povertà si percepisce anche in centro, figuriamoci altrove.
La presunta pandemia ha cancellato le code e, così, ci mettiamo uno sputo o poco più per passare i controlli che ci danno diritto di entrare nella basilica più bella e famosa del mondo. Erano anni che non varcavamo la soglia di questo gioiello architettonico. Ricordiamo ancora quando ci venimmo in occasione dell'anno santo del 1975. Vivevamo, allora, a poche centinaia di metri di distanza, viale delle Milizie, quartiere Prati.
Incredibile: la statua di San Pietro, nera come la pece, è untouchable, circondata da una corda che impedisce al turista o al fedele di toccare i piedi come accadeva una volta. Del resto a son di strusciate, i rilievi dei piedi del santo sono scomparsi lasciando il posto a una superficie liscia e anonima.
Prendiamo per le Grotte Vaticane e seguiamo, uno dopo l'altro, i sepolcri dei papi, compresi quelli di Giovanni Paolo II e di Albino Luciani, suo predecessore e morto in circostanze misteriose.
All'improvviso ci balena l'idea di fare quello che, in vent'anni di permanenza a Roma, non abbiamo mai fatto: raggiungere la cima della cupola, oltre 500 scalini. Ci guardiamo negli occhi e ci chiediamo se, a questa età, sia il caso, ma accettiamo la sfida, Con dieci euro, però, prendiamo l'ascensore che ci conduce a metà strada o quasi. Da lì, infatti, gli scalini da fare sono, appena, 320.
Non indossiamo la mascherina, meglio dirlo subito e chissenefrega, ma salire le scale aumenta la necessità di pompare ossigeno e coprirsi il naso se non è un suicidio gli assomiglia molto. Alla faccia di conte e dei suoi ministri. Arriviamo in vetta e tutto ci appare sotto un'altra luce. Una volta, ogni tanto, qualcuno si gettava da questa cupola perché aveva deciso di smetterla di soffrire e all'epoca non esistevano protezioni come ci sono adesso. Ora è impossibile anche il solo affacciarsi. La vista, però, è da togliere il fiato. Roma e i giardini vaticani sono una meraviglia. valeva la pena arrivare sin qua.
Scendiamo veloci e alla fine decidiamo di bissare da Alfredo. Questa volta, però, senza l'ansia dell'auto in divieto di sosta. A proposito, a fine pasto, ieri, siamo corsi a vedere cosa era accaduto e sul parabrezza abbiamo trovato la multa e accanto i vigili intenti a farne altre. E potevamo anche vederci rimuovere il veicolo. E' andata bene? Guardiamo la contravvenzione. Ci aspettiamo, come a Lucca, una mazzata. Invece, appena 29 euro se pagati entro cinque giorni. Alziamo la testa trafelati, sorridiamo agli agenti e aggiungiamo che se lo sapevamo evitavamo di correre. Mai come adesso siamo contenti di pagare per aver sbagliato. Ecco, se la multa è ragionevole non la si contesta. Non come a Lucca dove mister Tambellin Man e il suo scudiero Celestino Marchini hanno piazzato cinque autovelox sulla circonvallazione e non solo per inchiappettare i loro sudditi. In tempi di post-lockdown. E tutto per incassare soldi necessari a mantenere bradipi a iosa.
Il cameriere non crede ai suoi occhi. Ci ha visto il giorno prima e ci rivede il giorno dopo. Ancora carciofi e fettuccine, ma questa volta per noi c'è una big surprise. Il mantecatore ossia colui che prepara il piatto davanti al cliente, arriva con un astuccio dal quale estrae un cucchiaio e una forchetta 'd'oro' siglati Douglas Fairbanks, uno dei più grandi attori del cinema muto americano e innamorato delle fettuccine di Alfredo tanto da esportarle negli States. Ci dicono che l'ultima volta che hanno estratto le preziose posate è stato un mese prima. Hanno apprezzato la nostra passione e il nostro entusiasmo. Al momento di pagare, ci portano una confezione di tagliolini ad hoc a cui noi aggiungiamo, di tasca nostra, un vasetto di sugo al burro e parmigiano come quello che abbiamo appena degustato.
Sosta in albergo e, poi, di nuovo in cammino. Azz... che fatica. Sbuchiamo in via Cola di Rienzo e ci fermiamo da Castroni per gustarci un caffè. La strada è iperaffollata, altro che assembramenti. Come si può pensare di impedire alla gente di vivere?
E' quasi sera. Decidiamo di toglierci la mascherina una volta per tutte e avventurarci nelle stradine del quartiere Prati, che conosciamo a menadito, per raggiungere il Panzotto, altro ristorante dove abbiamo lasciato il cuore. Alessandro Focolari, una famiglia di giornalisti, ci aspetta. Quest'anno ha compiuto 79 anni, ma è una roccia pardon, una quercia. Il suo accento romanesco scorre via come un bicchiere di Frascati fresco sul palato assetato. E' nato il 23 marzo e, a noi che di storia sappiamo qualcosa, viene in mente una data: quella della fondazione dei fasci di combattimento, 23 marzo 1919. Non è che conoscere il proprio passato vuol dire essere fascisti...
Alessandro, allora, ci racconta un aneddoto: "Mio padre un giorno mi disse: sei nato il 23 marzo, il giorno in cui i fasci di combattimento hanno visto la luce. Lui ha fatto la guerra come pilota dell'aeronautica militare. Era ai comandi di un Savoia Marchetti S.79. Avevo una sua foto con il giubbotto di pelle, il berretto e gli occhialoni, ma ho perso il portafoglio e la foto era lì dentro. C'è un ricordo che mi commuove ancora ed è il ricordo più importante che ho di mio padre. Io all'epoca ero direttore amministrativo del Corriere dello Sport, conoscevo molta gente e, tra questa, anche il comandante in carica al ministero dell'Aeronautica che stava vicino ai miei uffici. Un giorno uscì sul giornale la notizia che in Africa, nel deserto, era stato ritrovato un aeroplano S.79 pressoché intatto che venne, poi, restituito all'aeronautica militare. Chiamai il generale e gli dissi che mio padre aveva pilotato uno di quei velivoli in guerra. Rimase sbalordito e volle assolutamente conoscerlo. Così, d'accordo con i miei tre fratelli, decidemmo di organizzargli una sorpresa. Lui viveva, allora, nell'alta Sabina, a mille metri di altezza, dove era cresciuto e dove aveva conosciuto mia madre. Lo chiamammo e gli dicemmo di venire a Roma. Era preoccupato, non sapeva la ragione della richiesta. Quando arrivò, ci trovammo all'aeroporto di Guidonia dove il generale e altri alti ufficiali oltre a un picchetto di soldati, lo accolsero con tutti gli onori facendo calare il telo che copriva la sorpresa. Così apparve all'improvviso il Savoia Marchetti S.79 e fu quella la volta in cui vidi mio padre piangere come un bambino di fronte a quella vista. Salì sull'aereo e gli altri cominciarono a chiedergli di tutto con lui che rispondeva con grande sicurezza".
Arrivano quattro assaggi di pasta: dalla eoliana con capperi e olive, alla mitica carbonara con rosso d'uovo, dalla cacio e pepe alla amatriciana. Paccheri e tonnarelli. Prima ancora, però, un piatto di lumache cucinate da Antonio lo chef. E anche le patate fritte, anzi, le sfoglie di patate fritte al cacio e pepe. A marzo Alessandro festeggerà i suoi 80 anni. Ha quattro figli, due avuti dal primo matrimonio e altrettanti dal secondo. Una vita intensa vissuta al massimo. Ha promesso di invitarci per una grande festa a casa sua. Se ci inviterà, ci saremo.
Rientriamo in taxi, ma solo fino ad un certo punto. Vogliamo gustarci queste ultime ore di permanenza capitolina. Dalla Mole Adriana a corso Vittorio Emanuele a Campo de' Fiori è un baleno. In giro, è sabato sera, una folla indescrivibile. Le forze del (dis)ordine legalizzato non sanno come fare, ma la colpa non è soltanto loro. La vita irrompe e fermarla è impossibile. Solo un altro lockdown potrebbe riuscire nell'intento, ma vorrebbe dire uccidere un paese intero e distruggere le sue giovani generazioni. Arriveranno a tanto questi governanti da salotto?