Ero bimbo e si festeggiava il 24 maggio in cui i nostri fanti – nel 1915 – “passavan la frontiera”, e il 4 novembre per ricordare che avevano vinto nel 1918. Sul “Corriere dei Piccoli” stampavano pure i soldatini, disegnati da grandi maestri del fumetto come Dino Battaglia, ed era un’altra festa. Poi la prima ricorrenza sparì dopo una 50ina d’anni, e la seconda divenne solo “Festa delle FF.AA.”. Cambia la società, cambia cosa festeggiare. D’aver vinto – comunque non certo da soli – non interessava più. Anche perché cominciava a farsi strada la certezza che il mito del ventennio del “mascellone”, che avessimo vinto da soli e fossimo il top dei popoli guerrieri, fosse naufragato fra steppe ucraine, montagne greco-albanesi e sabbie libico-egiziane. Anche a dubitare, tre indizi fanno una prova.
Inciso: ho parlato di “popolo” e non di militari, perché una guerra la fa un popolo, e i militari vanno a sbrigarsela con ciò che gli dà o gli nega il popolo. Si vince e si perde insieme.
Si festeggiava pure il 25 aprile. Era la liberazione dai nazisti. Per noi degli anni ’50 i tedeschi erano ancora “i cattivi”, anche perché i nostri genitori e insegnanti erano stati figli di chi aveva vissuto la Grande Guerra in cui il tedesco era il secolare nemico. Da Federico Barbarossa, a Cecco Beppe, e poi fino a Hitler. Le piazze le ricordo gremite, perché molti avevano morti causati dai tedeschi da ricordare, o storie d’Africa e Russia in cui il “camerata Richard” del popolare motivetto era stato tutt’altro che “benvenuto”.
Poi il 25 aprile è diventata la liberazione dal fascismo, e solo marginalmente dal nazismo. Sì è tramutata nella festa di chi fece la Resistenza sperando di giungere all’obbiettivo dei compilatori del manifesto di Ventotene. Ovvio che chi la pensava diversamente da loro alla festa non ci è più andato, o è stato cacciato, o ci è andato per farsi cacciare e sfruttare l’effetto mediatico dell’espulsione per alimentare vittimismo. Oggi a parte sindaci e giunte, istituzioni, Ass. Naz. Partigiani d’Italia, ci trovi quattro gatti. Le stesse associazioni d’arma a volte disertano o faticano a reperire chi porti il labaro. Qualche comandante di reparto militare, compresa l’antifona dall’incipit del discorso del presidente locale dell’A.N.P.I., portò anche via il picchetto d’onore.
Per cui quant’è durata la Festa della Liberazione? 50-60 anni? Paradossalmente non mi stupirei che un giorno, come qualcuno obliterò la Festa dello Statuto e il 24 maggio e modificò sostanzialmente il 4 novembre, si arrivi a cancellare anche il 25 aprile, in quanto non rispecchia il collettivo senso nazionale. Questione di tempo che forse neppure auspico, perché oggi il 25 aprile è un’arena delimitata nel tempo, per la quale ci si prepara a picchiarsi nei denti, almeno a slogan. Una sorta di via Paal dove i ragazzi delle due parti se le suonano a palle di sabbia e finisce lì.
Gliela togli, e la guerra potrà diventare continua e sotterranea, e più subdola.
Ricette? Non ne ho. La stessa scuola, che dovrebbe far cultura, fa invece proselitismo, dall’una e dall’altra parte.
Non c’è soluzione fino a che si dipingerà il fascista come carnefice e basta, e il partigiano come virtuoso e basta, o il fascista come mosso solo da nobili sentimenti di tutela dell’onore nazionale, e il partigiano come un volgare grassatore di strada.
Fino a che pretenderemo di riscrivere la storia del 1° Risorgimento, dei Romani, del Papato, del brigantaggio e della Grande Guerra, e negheremo la possibilità di correggere gli strafalcioni affioranti qua e là – dati di fatto alla mano – in quella del 2° Risorgimento.
Quindi teniamoci questa situazione, fino a che, spontaneamente, la società italica non comprenderà che a continuare ad accapigliarsi su questo tema si perde tutti e non si va d’alcuna parte.
Se Churchill disse che prima del 25 luglio del 1943 c’erano 49milioni di fascisti e dopo 49milioni di antifascisti, e gl’italiani non erano 98milioni, oggi almeno è tutto più chiaro. Ce ne sono più o meno 30milioni (siamo aumentati!) per parte, moltissimi dei quali non sanno per e contro cosa combattono.
Per cui se prima non si fa una bella guerra civile e si fucilano tutti i perdenti, ma proprio tutti, il problema non è risolvibile.
Per questo mi auguro che non si risolva mai, almeno lasciamo libero il pensiero d’esprimersi. L’esistenza di due punti di vista – nel caso italico – dà titolo a coloro che professano l’opposto di vivere.