Politica
Propaganda, democrazia e referendum
I referendum su lavoro e cittadinanza hanno mancato il bersaglio. Poco più del trenta percento degli aventi diritto al voto, infatti, si è recato alle urne

Roma. Pro Vita Famiglia: "Dal Comune linee Lgbt pericolose per scuole, pubblica amministrazione e società intera"
Pro Vita Famiglia non le manda a dire al sindaco di Roma Roberto Gualtieri del partito democratico: Le linee guida Lgbtqia+ per le quali l'Assemblea Capitolina di Roma…

E mo' come la mettiamo?
Nelle speranze di Elly-ti-sorridono-i-denti e dei suoi pards, per usare un termine caro a Tex Willer, questa tornata referendaria doveva servire a mandare a casa l’attuale PdC, consentendole…

Referendum, Mercanti (Pd Toscana): "Mancato quorum ferita per tutti, ora centrosinistra torni a parlare anche di partite Iva"
La presidente dell'assemblea dei Democratici toscani e consigliera regionale: "La nostra regione si conferma un esempio di partecipazione e impegno sui diritti, ma no alla retorica dell'isola felice"

Bandiere e seguiti
Volano gli stracci tra gli ex “compagni di merenda” statunitensi Donald Trump ed Elon Musk: un'accoppiata che ha influenzato non poco il risultato elettorale per la corsa alla…

Cannoncino a gas contro i volatili in viale Cavour, Carnini (FdI): “Un provvedimento atteso e necessario”
Si dichiara convinto e soddisfatto di fronte all’ordinanza firmata dal sindaco per l’introduzione dell’utilizzo del cannoncino a gas per l'allontanamento dei volatili in viale Cavour Diego Carnini, consigliere…

Ex Vivai Testi, capigruppo maggioranza: "Consegniamo alla città un'area verde strategica"
Cecchini, Di Vito, Fagnani, Fava, Del Barga: "La partenza dei lavori segna un risultato storico, così il parco delle Mura urbane diventa omogeneo"

Crisi della Lucchese, lettera di Bianucci al sindaco: “Il Ghiviborgo adesso può aiutare la Città a far ripartire il nostro calcio e coinvolgere il tessuto economico lucchese”
"Caro sindaco Pardini, prendiamo la palla al balzo, il titolo sportivo del Ghiviborgo a questo punto può essere importante per garantire una più dignitosa ripartenza…

Referendum
Alla mia età ho assistito a molte decine di campagne elettorali, per politiche, amministrative, europee, referendum. Mai come stavolta mi è parso d’aver a che fare con una…

Capannori, Fratelli d’Italia all’attacco: “Bocciata dalla maggioranza una mozione a sostegno delle forze dell'ordine”
Nel corso dell'ultimo consiglio comunale svoltosì a Capannori, Fratelli d'Italia ha presentato una mozione a sostegno delle Forze dell'Ordine, con l'obiettivo di riconoscere pubblicamente il lavoro quotidiano e…

Anniversario della morte di Paolo Borsellino: un esempio da imitare di un vero servitore dello Stato
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19 luglio 1992 - 19 luglio 2022: trent’anni fa perdeva la sua vita il magistrato Paolo Borsellino. Solo a 57 giorni dalla strage di Capaci, dove avevano perso la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta, un nuovo attentato, quello di Via D’Amelio, colpisce feralmente il nuovo simbolo dell’antimafia palermitana.
Paolo Borsellino, assurto alla ribalta suo malgrado, come nuovo paladino della lotta al cancro mafioso, viene ucciso insieme alla sua scorta con un auto bomba sotto casa della madre. Segue così il destino del suo amico e collega di sempre, quel giudice Giovanni Falcone, con cui aveva condiviso tutta la stagione dei pentiti e il maxi processo. Dopo l’attentato di Capaci, Paolo Borsellino comprende subito che il prossimo obiettivo sarà lui.
Lui sarà il nuovo agnello sacrificale, di una lotta senza quartiere tra lo Stato e la mafia, che lo ha visto insieme a Falcone protagonista. Una lotta quella tra Stato e mafia che ancora oggi perdura ma si è fatta più silenziosa, meno appariscente, ma non per questo meno dura e cruenta.
Con Paolo Borsellino scompare, l’ultimo baluardo di spessore della magistratura operante sul campo, che aveva compreso come indirizzare bene le attività investigative e sapeva dove colpire quel tumore venefico, che ancora oggi ammorba la Trinacria e l’intera Penisola Italiana. Dopo la sua scomparsa, molti passi in avanti sono stati fatti nella lotta alla mafia, molte battaglie sono state vinte, molti grandi capi di Cosa Nostra sono stati arrestati, tanto che al momento attuale, l’unico nome di spicco del gotha mafioso di quel periodo rimasto da catturare, è Matteo Messina Denaro.
Paolo Borsellino capisce immediatamente, già sul cratere dell’attentato di Capaci di essere lui il prossimo bersaglio di Cosa Nostra. Si prepara allora a subire questo sacrificio, ma non vuole rimanere inerte e allora comincia a fare ciò che gli riesce meglio, inizia a indagare. Riempie di appunti la sua famosa agenda rossa, ascolta pentiti e collaboratori di giustizia, vuole capire perché la mafia ha deciso di reagire in quel modo cruento, plateale che non è certamente nei costumi di quell’organizzazione criminale.
Non aveva evidentemente compreso che invece si era avviato quel periodo delle stragi e degli attentati di cui lui stesso sarà vittima e che continuerà con gli attentati dinamitardi di Roma e Firenze. Ormai era guerra senza esclusione di colpi da parte della mafia, in particolare dell’area stragista dei corleonesi capeggiata da Totò Riina contro lo Stato e i suoi rappresentanti. Uccidere Paolo Borsellino, a così poca distanza dalla morte del suo amico Giovanni Falcone, nella mente di coloro che avevano pianificato, organizzato e portato a termine gli attentati significava mandare questo preciso messaggio allo Stato: fermatevi con le vostre indagini, avete oltrepassato ogni limite consentito e siamo pronti a tutto pur di continuare a fare i nostri affari illeciti indisturbati.
Per fortuna questi due attentati hanno prodotto l’effetto inverso, hanno risvegliato le coscienze di tutti i siciliani onesti e non, si sono consolidati i due elementi portanti della lotta alla mafia: la condivisione delle informazioni e il sostegno dell’opinione pubblica. Certamente, ci sono stati ancora attentati dinamitardi con danni enormi a strutture architettoniche e di rilievo artistico/storico con ulteriore uccisione di persone innocenti, ma anche una reazione a catena di tutti gli apparati investigativi dello Stato, che hanno raggiunto una sequela di successi che non aveva avuto mai simili precedenti nell’atavica lotta alla mafia.
Dobbiamo essere grati a Paolo Borsellino così come a Giovanni Falcone e ai rispettivi componenti delle loro scorte, perché senza il sacrificio delle loro vite, senza il loro esempio di coraggio, oggi continueremmo a vivere in un'Italia oppressa dal fenomeno mafioso, che pure non è stato sconfitto del tutto, ma, sicuramente, molto ridimensionato, quindi è giusto ricordare oggi, e farlo sempre in ogni anniversario, questo grande uomo, questo magistrato che è andato incontro alla morte pur essendo consapevole della condanna pendente sul suo capo, ma non ha arretrato minimamente dando a tutti, soprattutto, alle generazioni che sono venute dietro la sua morte, un grande esempio di servizio allo Stato.
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La vicenda dell’appello che i sindaci, tra cui Mario Pardini, hanno rivolto a Mario Draghi mi permette di condividere una riflessione sul ruolo stesso del primo cittadino. Con la riforma del 25 marzo del 1993, n. 81, è stato tagliato il filo che lo univa, o meglio lo legava, al partito.
Prima gli elettori sceglievano i consiglieri, quasi sempre in liste di partito (scarsa era la presenza delle liste civiche), mentre questi a elezioni concluse sceglievano il sindaco, che potevano sostituire in qualsiasi momento. Il partito quindi esercitava un ruolo decisivo, agendo attraverso i consiglieri eletti nelle proprie liste.
Oggi gli elettori scelgono direttamente il sindaco, a cui si possono collegare liste sia di partito che civiche. E’ il sindaco il vero protagonista, la sua storia, il suo rapporto con il territorio, il suo carisma, ovviamente le sue capacità. E’ stato un passo importante, una vera e propria cesura con il passato, che ha finalmente scisso il destino del sindaco da quello dei partiti, ormai fotocopie ingiallite delle vecchie organizzazioni popolari e sociali, sempre più alla deriva, sia in termini organizzativi, con un numero di iscritti da condominio rispetto ai vecchi partiti anni ’70, sia in termini programmatici o di contenuto, al limite della insignificanza, ad iniziare dalle obsolete definizioni di destra e sinistra.
Ecco perché mal sopportano l’autonomia sindacale. Prima delle elezioni si dichiarano aperti alla “collaborazione”, ad un “corretto rapporto” con il primo cittadino, per poi subito, a risultato raggiunto, pretendere la guida delle amministrazioni, delle linee operative, pretendere nomine o “poltrone”. Ma soprattutto pretendono la sudditanza con Roma, con il centro strategico. Qui sta il vero vulnus del sistema. Intanto Stato, Regioni, Comuni sono a livello costituzionale sullo stesso livello, non esiste un livello “più alto”, meglio chiarito dalla introduzione del principio di sussidiarietà. Ognuno ovviamente secondo le previste competenze.
In secondo luogo, il senso della riforma del 1993 consisteva proprio nel riconoscimento di un rapporto diretto tra sindaco e cittadini. A lui spetta la funzione di governo, certo in un confronto continuo con il consiglio comunale, organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente locale. I partiti sono quindi chiamati ad un vero e proprio salto di qualità. Devono imparare a rispettare l’autonomia di un sindaco, a fermarsi cioè sulla soglia dei palazzi comunali, promuovendosi invece come riferimento e stimolo. Un esempio, la nomina degli assessori.
Designazione e revoca spettano al sindaco. L’assessore è semplicemente un collaboratore del sindaco, niente di più. Prima del 1993 il sindaco era una sorta di primus inter pares, eletto dal consiglio insieme agli assessori; la n. 81 del 1993, ha sancito che la giunta collabora (logica opposta) con il sindaco, secondo un ruolo di staff che lo coadiuva. In sostanza l’assessore non ha un ruolo verso “esterno” (se non come componente di un organo collegiale come la giunta), ma si muove sulla base di una delega diretta del sindaco.
Un errore grossolano quindi insistere sulla divisione degli assessori come emanazione dei diversi partiti. E’ attraverso il consigliere comunale che un partito dovrebbe far sentire la propria voce, non attraverso un assessore. Questo dovrebbe essere lasciato esclusivamente alla scelta del sindaco, con persone di fiducia o di esperienza. Anche sulla durata del mandato di un assessore dobbiamo fare chiarezza. Il sindaco può e dovrebbe (a mio avviso) utilizzare gli assessori anche a rotazione nei 5 anni, secondo obiettivi, dando spazio anche alle tanto contestate deleghe per i consiglieri, che ovviamente non assumono nessun potere aggiuntivo rispetto a quello base. Oltretutto, lo spostamento delle funzioni gestionali in capo alla dirigenza ha fatto si che il ruolo degli assessori si possa concentrare esclusivamente sull’attività delegata dal sindaco.
Da circa 20 anni mi sono mosso su queste linee guida, sia come sindaco della lista civica “Andare Oltre”, sia in appoggio alle diverse liste civiche sul territorio lucchese. Qui si gioca il futuro della politica nazionale. Bene ha fatto quindi Mario Pardini ha firmare l’appello a Mario Draghi (incredibilmente ha anche ricevuto il plauso da quei senatori lucchesi che del controllo asfissiante del territorio e del partito hanno fatto il loro stile). Bene ancor più per la forma, che per la sostanza ( su cui beninteso concordo).
E’ il senso della rivendicazione di una profonda autonomia, da rimarcare e su cui vigilare. I partiti non devono mischiare livelli diversi, non devono sovrapporre finalità intrinsecamente diverse. E anche sugli assessori appena nominati credo che Pardini abbia il diritto di rivendicare una metodologia da applicare nell’immediato futuro: nessuno è li per diritto, nessuno lo deve essere per l’intera durata del mandato. Anzi. Comunque, per Mario Pardini un buon inizio.