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Scritto da Redazione
Economia e lavoro
26 Novembre 2020

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Il mondo che cambia, i metodi di studio al passo con i tempi. Nicola Lattanzi, laureato in Economia a Pisa nel 1988 è professore ordinario di Economia Aziendale presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca, dove insegna Strategia e Management per i Sistemi Complessi; studia gli sviluppi strategici della piccola media impresa con attento riguardo a quella a conduzione familiare (presso l’Ateneo di Pisa insegna Strategia e Governo dell’Azienda Familiare), alla valorizzazione cognitiva del capitale umano e alle applicazioni delle neuroscienze al management e alla strategia. Ha servito in qualità di consulente di famiglie imprenditoriali, enti pubblici e società private. Scrittore, al suo attivo anche un testo di narrativa (http://www.pacinifazzi.it/tutte-le-direzioni/), ha pubblicato numerosi libri e articoli in materie economico-aziendali. Fra le ultime comparse, quella sul tema Sviluppo economico e Sicurezza Nazionale in Nuova Antologia (https://www.lattanzinicola.it/sviluppo-economico-e-sicurezza-nazionale/), la rivista di lettere, scienze ed arti che da oltre centocinquanta anni accompagna il vissuto sociale, economico e culturale dell’Italia e gli avvenimenti che l’hanno portata dove oggi è.


Salve professore, nella sua biografia si notano gli studi sulle prospettive delle neuroscienze applicate al management e al business, quale è la relazione?

La lettura del livello di competitività aziendale richiede oggi la declinazione di variabili nuove che riguardano il processo di creazione del valore economico-sociale e che sempre più vedono l’uomo e la società al centro. Il modello di business si arricchisce di contenuti e prospettive innovative quando l’effetto di queste produce un miglioramento nell’allocazione e nell’impiego delle risorse. Le neuroscienze offrono una chiave di lettura dai contenuti molto innovativi: la soddisfazione dei bisogni dell’umana natura muove da sempre l’economia e la società ne riflette gli effetti che si palesano nella configurazione dei modelli di organizzazione collettiva, nell’articolazione della vita e negli usi e nelle consuetudini degli individui. Ne sono fortemente influenzati il marketing e la gestione delle risorse umane, ma non solo. Le neuroscienze manageriali hanno affermato il loro ruolo nella ricerca scientifica, nelle applicazioni aziendali e rivestono ormai un ruolo cruciale per la migliore comprensione e il governo delle capacità cognitive dei singoli che, nel loro insieme e nella loro interazione, contribuiscono alla formazione delle capacità dinamiche dell’azienda, cioè il modo di pensare la strategia. Il Neuroscience Lab di Intesa Sanpaolo Innovation Center fondato presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca e attivo su questi temi ed è il risultato di una felice e proficua collaborazione che va proprio in questa direzione e che invito a visitare.


Entrando nel vivo del discorso, cominciamo a parlare del suo ultimo contributo scritto per Nuova Antologia, una rivista di grande prestigio. Nel suo articolo parla di Sviluppo economico e Sicurezza Nazionale, in che modo questi due aspetti così importanti si influenzano a vicenda?

Il sistema economico-produttivo è il “bene collettivo” - mi permetta dire che appartiene a tutti noi ed è popolato da tutti noi - e come tale è da valorizzare e proteggere perché dal suo stato di salute dipende strettamente lo sviluppo economico e la creazione di ricchezza sociale. La situazione della pandemia ha enfatizzato molto questo concetto. La difesa del sistema economico-produttivo, richiede la mediazione tra obiettivi politici, di salute pubblica, di ricerca e formazione, socio-culturali, economici e finanziari. Ancora, la formazione delle competenze si contraddistingue oggi, ancor di più lo sarà in futuro, per la natura trasversale di capacità cognitive, sociali ed emotive in una filosofia long-life learning, saremo chiamati a studiare in via continuativa nei vari percorsi professionali della vita. In una società digitale le abilità umane più importanti saranno l’immaginazione e la creatività, così come la capacità di gestire criticità e risolvere conflitti. In un arco temporale molto breve la difesa geoeconomica, la difesa cioè del sistema economico-produttivo, avrà pieno riconoscimento quale ramo multidisciplinare dell’economia politica internazionale e negli studi di strategia aziendale. E allo Stato spetta oggi più che mai un ruolo fondamentale e strategico nell’organizzare la nostra Sicurezza Nazionale mediante i vari organi di Intelligence governativa, una vera e propria Intelligence economica, dei quali si è dotato. Lo Stato protegge le proprie aziende perché le valorizza, le aziende rendono più robusto il proprio Stato perché ne alimentano la forza economica.


È frequente nel suo scritto il richiamo alla “Incertezza Geopolitica” che caratterizza il nostro tempo. Che cosa è, quali rischi comporta e come siamo arrivati a questo punto?

 

Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla nascita di un nuovo ordine mondiale all’interno del quale l’economia sostituisce gli eserciti e la guerra combattuta sul campo di battaglia cede il passo a quella combattuta sul terreno economico. L’obiettivo degli Stati diviene la conquista della leadership nei settori che impegnano le risorse umane più qualificate ed in quello dei servizi ad alto valore aggiunto così da presidiare una posizione di preminenza nel panorama internazionale. Il capitale finanziario e le strategie di investimento diventano le nuove armi mediante le quali penetrare mercati esteri ed esercitare influenza diplomatica. L’incertezza geopolitica che ne consegue, unitamente all’impatto economico del Covid-19, pone l’accento per il nostro Paese sulla fragilità del tessuto industriale e, in particolare, la delicatezza strutturale del sistema Made in Italy, vale a dire la presenza di circa centocinquanta filiere produttive, spesso composte da imprese di piccole e medie dimensione in prevalenza a conduzione familiare. Pensi alla nostra Toscana che ne annovera oltre una dozzina, o anche alla sola provincia di Lucca che vede Carta, Nautica, Marmo, Meccanica e Agroalimentare. Imprese che sono espressione di riconosciute ed apprezzate qualità strategiche e che si sono territorialmente organizzate nella forma del distretto industriale aperto su scala globale. In questo difficile momento di crisi la debolezza intrinseca del tessuto industriale e del sistema bancario italiano facilita pertanto la penetrazione di soggetti finanziari provenienti da Paesi esterni all’Unione Europea e riconducibili a Stati sovrani e organizzazioni criminali anche internazionali.


Lei afferma che la pandemia da Covid-19 ha accelerato un processo di riequilibrio geo-economico già in atto: questa spinta crede possa avere effetti negativi?

 

L’emergenza economica causata dal Covid-19 ha accelerato la configurazione in atto negli assetti geopolitici, in primis quello scaturente fra gli Stati Uniti e la Cina, ma non solo. In questo contesto di competizione globale, senza la rete di protezione che di fatto era “garantita” dal precedente ordine bipolare, quello fra gli Stati Uniti e la URSS, la debolezza economica dell’Italia diviene una debolezza della quale è meglio occuparsi, per l’appunto come questione di sicurezza economica nazionale. Si consideri ancora che, proprio per questo motivo, la coesistenza dell’asse Europa-Occidente e di quello Europa-Oriente rischia di schiacciare l’Europa in un equilibrio molto difficile. Se poi consideriamo la posizione dell’Italia in Europa il nostro Paese rischia ulteriormente di essere sottoposto a pressioni non sopportabili.


Viene richiamata la “Decoupling Economy” come una delle vie obbligate per fronteggiare le sfide ambientali, socio-tecnologiche ed economiche, cosa si intende con questa espressione?

Decenni di attenzione alla crescita economica senza altrettanto impegno a renderla inclusiva e sostenibile dal punto di vista ambientale hanno determinato gravi conseguenze per il pianeta e il genere umano. Nell’attuale scenario macroeconomico europeo merita attenzione l’idea di decoupling economy o economia disaccoppiata; il modello di crescita sostenibile e inclusiva rappresenta una via obbligata per fronteggiare le crescenti sfide di trasformazione socio-tecnica ed economica legate alla continua evoluzione in termini di cambiamento demografico, globalizzazione, ambiente e nuove traiettorie tecnologiche. Con il termine decoupling si intende il disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di carbonio. Per molte Istituzioni internazionali, l’Unione Europea è fra queste, il decoupling è un passaggio fondamentale della transizione ecologica. Se ne parla dall’anno 2001 quando l’OCSE lo inserì fra i principali obiettivi di strategia ambientale. Più precisamente il decoupling è il processo di de-correlazione tra emissioni di anidride carbonica(CO2) e crescita del PIL, che si realizza quando il valore economico si associa al miglioramento dell’efficienza energetica oppure alla decarbonizzazione del mix energetico. Nell’Unione Europea, l’intenzione del nuovo Presidente della Commissione Ursula von der Leyen va verso l’integrazione della sfida ecologica nel sistema economico e politico attuale, prevedendo strumenti di mercato e di fiscalità che premino la riduzione nelle emissioni di carbonio. In estrema significa crescita economica caratterizzata da una riduzione dell’impatto ambientale.


Lei pone la necessità dello sviluppo di una Intelligence economica di Stato per rendere più competitivo il Paese e identifica tre categorie di Paesi: quelli che ne detengono una, quelli disposti ad adottarne una e quelli che per vari motivi non ne avranno mai una. L’Italia dove si posiziona e perché?

 

Nonostante le differenze nella definizione di Intelligence economica i presupposti comuni sono rintracciabili nella costante presenza di consolidate pratiche e metodologie di analisi dell’economia nazionale da parte dello Stato di riferimento. Per quanto il concetto appaia riduttivo, considerare l’economia in ottica nazionale alla luce della globalizzazione, il tema è quanto mai attuale. I Paesi con tradizione nello specifico campo sono quelli che hanno dimostrato di saper plasmare una strategia geoeconomica sulla base della propria identità culturale, storica e politica: su tutti, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, il Giappone, la Russia, la Cina e la Francia. Una delle motivazioni la si può rintracciare nella coltivazione secolare di pratiche e consuetudini frutto della dominazione. Vedo il nostro Paese fra quelli altamente interessati ad adottarne una, anche per come ha legiferato. Perché ? Occorre tempo affinché la cultura della Sicurezza Nazionale venga percepita e vissuta come un valore positivo da tutti, per tanti motivi. Le americane FBI(Federal Bureau of Investigation) e CIA(Central Intelligence Agency) sono vissute e percepite come valore positivo, se Lei dice Servizi Segreti in Italia tale percezione muta, eppure abbiamo siti consultabili e non segreti.

 

Lo Stato Strategico è più forte: come riuscirci e che cosa può fare il nostro Paese? 

 

Nessuna piccola e media azienda potrebbe permettersi in autonomia i costi e le strutture, senza nemmeno immaginare lo sforzo necessario per l’acquisizione dello specifico know how, per proteggere se stessa, i propri mercati, le proprie tecnologie, i propri progetti di sviluppo e conseguentemente il proprio livello di competitività. Il ricorso all’Intelligence presuppone un passaggio evolutivo nella mentalità strategica della singola azienda e parimenti nello Stato. La tecnologia digitale sta ridisegnando e riformando il sistema economico che diviene decentralizzato e distribuito, e i suoi effetti impattano fortemente sulle architetture organizzative e sui modelli di business. Ciò considerato, il tessuto produttivo italiano è composto da imprese con una dimensione degli addetti molto contenuta e localizzate in distretti industriali che ospitano filiere produttive di grande valore strategico per l’economia e la creazione di valore del Paese: si tratta quindi di proteggere il bene sistema economico-produttivo mediante l’attività che oggi, dopo la riforma dell’anno 2007, svolgono principalmente le Agenzie governative di Informazione e Sicurezza, ovvero AISI (Agenzia Informazioni Sicurezza Interna) e AISE (Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna). L’Italia, soprattutto il suo Made in Italy, non può prescindere dall’adozione di architetture organizzative e formule strategiche innovative che contemplino un dialogo e una prospettiva di ampio respiro internazionale sulla competitività, anche dei sistemi locali, fra azienda e Stato. La questione è di interesse nazionale, a mio avviso da leggersi quale esigenza di allineamento fra interesse strategico generale dello Stato e interesse strategico specifico del privato, ovvero la coesistenza fra la dimensione geocompetitiva (intelligence economica) propria del sistema economico-produttivo di Paese e quella geostrategica aziendale (la formulazione della strategia) propria dell’impresa inserita nell’arena competitiva di riferimento. Ma non è semplice, me ne rendo conto.


Lei definisce la ripresa italiana post-covid "a macchia di leopardo". Come immagina il nuovo mondo?

Lo immagino popolato sempre più da esseri umani e da umani virtuali, questi mesi ne sono solo un assaggio. Si prospetta una ripresa a macchia di leopardo e diseguale, con alcune aree in recessione e altre in espansione, anche a pochi chilometri di distanza, nuove disuguaglianze all’interno delle quali la tecnologia e la connettività rivestiranno un ruolo cruciale riconfigurando comportamenti, abitudini, modalità di produzione e di consumo. La ripresa determinerà una radicale ricomposizione del sistema produttivo, con una rotazione dell’asse dei rapporti internazionali – coesisteranno l’asse Europa-Occidente e quello Europa-Oriente – e forti saranno i rischi di perdita di controllo di asset strategici per la competitività del sistema Paese. Si prefigura un incremento delle acquisizioni di società italiane da parte di società estere con conseguente necessità dell’adozione di metodologie di valutazione di impatto strategico, anche innovative in termini di Sicurezza Nazionale. Le Agenzie di Informazione saranno chiamate a svolgere un ruolo inedito di protezione e valorizzazione del sistema economico-produttivo: è il sistema Paese che diventa l’elemento centrale e cruciale dell’azione di difesa del sistema economico-produttivo – lo è ancora più nei momenti difficili come l’attuale - perché dal suo stato di salute dipendono la capacità di tenuta e di crescita del livello di benessere economico-sociale dello Stato.

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