Forse ricordiamo male, ma molti, molti anni fa, quando ancora il Nuovo Millennio era solo un miraggio, sui campi di calcio di quasi tutte le frazioni cittadine e non soltanto, scendeva in campo una squadra composta da un gruppo di colleghi e amici che ogni fine settimana, ma anche durante e, spesso, persino due volte, si incontrava con altre squadre del territorio. Tutte, rigorosamente, amatoriali anche se, una volta sul terreno di gioco, di amatoriale c'era ben poco.
Gli era che dopo i suoi primi anni passati e vissuti in questa valle di lacrime, lo scrivente si era messo in testa di recuperare un po' del suo tempo perduto e di costituire una formazione di calcio composta, prevalentemente, da giornalisti ai quali, ben presto e viste le defezioni di varia natura, si aggiunsero personaggi che con la penna avevano ben poco a che fare, ma molto di più con la palla. Nacque una squadra che venne denominata Scoop!, si trovò uno sponsor che ci permise di acquistare mute e borse, fu rintracciato un campo dove allenarsi con regolarità e, dopo qualche torneo un po' di qui e un po' di là, la decisione, pazza, di iscriversi ad un campionato vero e proprio con tutti i rischi, ma anche gli impegni e le soddisfazioni derivanti da una impresa davvero difficile.
Può darsi che ce ne dimentichiamo qualcuno, ma nell'undici o anche dodici, tredici, quattordici e financo quindici e sedici, c'era, davvero, con tanto di accompagnatori, la créme de la créme del giornalismo lucchese: da Giulio Del Fiorentino a Massimiliano Paluzzi, da Egidio Conca a Luciano Nottoli, da Paolo Bottari a Paolo Ceragioli, da Fabiano Tazioli a Sirio Del Grande, da Lodovico Poschi Meuron a Vincenzo Passini, da Stefano Biondi a Simone Dinelli, da Mimmo Tosi a Francesco Quilici, da Jacopo Di Bugno che giornalista lo sarebbe diventato più tardi a Massimo Stefanini, da Luca Tronchetti a Maurizio Carlotti ad altri che calpestarono più o meno degnamente quel poco o quel tanto di erba che trovavamo. Ma ben presto, oltre ai colleghi e anche per rinforzare il sodalizio e divenire più competitivi, cominciammo ad acquistare degli... oriundi che con il giornalismo non avevano niente a che fare, ma che divennero ben presto colonne portanti della squadra: da Federico Lanza a Fausto Bandoni, da Cesare Tozzini a Valter Spagnesi, da Ilir grande amico albanese ad Alessandro Manfredini, da Alessio Grandi ad Alessandro Tazioli a Fabio Lenzi e poi chissà quanti altri.
Ricordavamo anche questo, l'altra sera a San Concordio a casa proprio di Fausto Bandoni e Daniela Tozzini, sorella di Cesare, amici del cuore e col cuore, lucchesi docg con i quali abbiamo vissuto un pezzo di strada di questa lunga e sofferta esistenza. Ricordiamo ancora il caposervizio della Nazione di Lucca, all'epoca Paolo Magli, che mal digeriva quella nostra predisposizione alla goliardia che da quando eravamo arrivati avevamo finito per trasmettere se non imporre nella redazione stessa a suon di pizze, partite, cazzeggio e altro ancora.
Giocavamo alle 14 del sabato pomeriggio e alle 16 dovevamo essere in ufficio per fare il giornale e scriverlo. Una volta ci arrivammo con un braccio che se non era rotto si gonfiò come una zampogna, ma facemmo finta di niente altrimenti poi chi glielo diceva che ci era successo mentre giocavamo a pallone e lui era al desk che riempiva le pagine del giorno dopo.
Non ci sedevamo a tavola con Bandoni e Tozzini da una vita, ma eravamo venuti a conoscenza via facebook che Daniela, moglie del primo, si dilettava e anche molto bene nella cucina al punto che, con la nostra solita irruenza, ci siamo autoinvitati. Con noi tre, oltre a Daniela, anche Letizia, moglie di Cesare e la mamma, Rossana Pantera, 94 anni, cugina di Giampiero Brancoli proprietario dell'edicola di via Beccheria, il fotografo che riuscì a immortalare le significative immagini dell'Armir, l'armata di Mussolini in Russia durante la guerra.
Seduti a tavola il tempo sembra essersi fermato, ma è una impressione ché la realtà è ben diversa. Siamo tutti cresciutelli e ultrasvezzati, chi ha i figli li ha ormai grandicelli e indifferenti (giustamente) alle rimpatriate dei genitori. A noi pare di stare in un igloo, fuori fa un freddo cane, ma dentro l'atmosfera si riscalda da sé senza bisogno di carburanti né combustibili.
La prima portata è roba da mangiarsi anche gli occhi, una pepata di cozze con crostino all'olio caldo e, come sempre, noi bissiamo e trissiamo senza ritegno. Poi altro antipasto, capesante alla piastra con brodo al cavolo cappuccio rosso. Azz... che il lusso sia con voi direbbe il Giacomino del bagno Biondetti a Marina di Pietrasanta. Champagne rosé, Franciacorta Romantica Satén, prosecco Ribolla gialla per annaffiare il tutto. Quante volte abbiamo discusso in campo per via di quella incapacità a tenere la bocca chiusa da parte del sottoscritto.
Linguine alle cozze, una portata che sembra facile da fare, ma che nella maggior parte dei casi riesce insapore e acquosa. Daniela, invece, la rende cremosa il giusto e, soprattutto, che sa di cozze, davvero perfetta e anche la presentazione si addice ad una aspirante chef che meriterebbe di misurarsi su altri palcoscenici gastronomici. Poco dopo arriva il piatto forte della serata, spaghetti all'aglio nero con tartare di salmone aromatizzata al limone e menta e frutti di mare: piatto ricco, mi ci impicco direbbero nella capitale e noi, per poco, non ci restiamo soffocati. Lo spaghetto è micidiale, al dente che è una perfezione, scivola via in bocca e si lascia masticare con docilità. E siamo ancora ai primi.
Prendiamo aria e, in particolare, respiriamo freschezza e intimità in un'epoca in cui ci hanno tolto anche quello che non costava niente, ma regalava parecchio: le emozioni. Se il futuro ha un cuore antico, il presente il suo cuore ce l'ha ben radicato al recente passato. Tutti siamo consapevoli che sono queste le cose che contano veramente nella vita e che l'amicizia è un valore tutt'altro che scontato, che si coltiva e si cura con partecipazione e selezione affettiva.
Tocca ai secondi, ben due ne ha predisposti Daniela, ma noi alziamo bandiera bianca: la pepata di cozze ci ha steso e la doppia razione di spaghetto ha dato il colpo di grazia. Ci attendevano degli scampi da favola che poche ore prima, al momento dell'acquisto, erano ancora vivi. Ce ne rammarichiamo, ma nella stiva non entra più quel che entrava un tempo. Sarà per la prochaine fois. In compenso un bicchiere di rum restituisce lucidità e compostezza per l'ultimo assalto alle reminiscenze e alle dispute dell'ultim'ora. Quando ci alziamo, è il momento delle foto di, si fa per dire, rito.
E pensare che quando arrivammo a Lucca, settembre 1989, eravamo convinti che, tempo massimo un paio d'anni e saremmo rientrati al Cupolone. Quasi tutti sanno come è andata a finire.