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Scritto da Aldo Grandi
Enogastronomia
15 Ottobre 2022

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Voi provate a venire nel Chianti o ai suoi immediati confini e a domandare che cosa è il peposo. Attenzione, c'è peposo e peloso. C'è quello che si trova un po' dappertutto anche in mezzo alla strada in qualche improvvisato street food e quello, di alto e altro livello, che potete gustare solamente in certi ambienti, non necessariamente particolarmente esosi. 

Alessio Leporatti, executive chef al Relais Villa Olmo di Impruneta, premiato con la prestigiosa Forchetta del Gambero Rosso, di peposo ne sa e anche parecchio. Al punto che lui, un tempo, era solito prepararlo come l'antica ricetta prevede, ossia utilizzando 40 grammi di pepe per ogni chilo di carne cucinata. Una bomba se ci pensate, ma è così che a queste latitudini amano il peposo, una sorta di brasato o stracotto che, tuttavia, proprio per la presenza del pepe e non solo è un'altra cosa. 

Il peposo, da queste parti, è una istituzione e una tradizione irrinunciabile, più è impepato meglio è, ma, come sappiamo, non tutti i palati gustano allo stesso modo per cui anche Alessio ha dovuto aggiornarsi e imbattersi in commensali che amavano un tipo di sposo più delicato e meno irriverente. Al ristorante Diadema, il regno di chef Leporatti all'interno di Villa Olmo, il peposo arriva servito in un piccolo recipiente di terracotta - il Cotto di Impruneta risale al medioevo ed è una antica tradizione artigianale - adagiato su un letto di patate schiacciate e con dei fagioli cannellini al fiasco. E' la guancia del vitellone, un pezzo di carne particolarmente tenera che la cottura per circa cinque ore rende morbido come il burro.

"Non tutti coloro che vogliono mangiare il peposo - spiega chef Alessio - riescono a sopportare il carico di pepe che originariamente si usava. Quindi ho voluto rivisitare questo piatto rendendolo più delicato, ma conservando e sue caratteristiche organolettiche. La guancia è un pezzo di carne che si adatta benissimo alla bisogna. Niente sugo di pomodoro per il semplice motivo che, nel medioevo e prima della conquista dell'America, a Firenze e dintorni i pomodori non sapevano nemmeno cosa fossero, ma il peposo sì. Spadello la carne con un po' di olio dopodiché la affogo con dell'aglio schiacciato, della salvia e del vino rosso, non troppo strutturato perché altrimenti me lo ritroverei troppo carico. In genere uso il Canaiolo che si presta benissimo. Cottura per cinque ore e posso garantire che il piatto può andare in tavola senza alcun timore".

Confermiamo, non solo il colore è estremamente invitante, ma il sapore conquista all'istante. La carne si taglia con un grissino come recitava una vecchia pubblicità del tonno e, accompagnata con patate e fagioli cannellini, è una goduria irrinunciabile. Digeribile anche perché la carne non necessita, paradossalmente, di alcuna masticazione. 

Una squadra, quella schierata da Alessio Leporatti ai fornelli, che comprende anche i capi partita Andrea Asti e Giovanni Di Stefano (nella foto), Marco Poggiali e Sofia Memmo che si occupa delle colazioni. Il responsabile del ristorante così come del bar è Luca Giaccone, 40 anni, di Cuneo. A proposito, chef Alessio Lepoatti, a settembre, è diventato papà di una bellissima bimba di nome Delia. Auguri a lei e alla mamma.

In questa oasi di pace denominata Villa Olmo, non si può non sottolineare come, a pranzo ad esempio, ci siano piatti più leggeri, ma gustosissimi come e ci teniamo a dirlo, il crostone al pomodoro dell'orto - e l'orto esiste davvero ed è anche ben visibile poco distante dal ristorante - olive, capperi e basilico. Una cascata di colori sgargianti in cui il rosso trionfa e regala passione e joi de vivre. Il tutto adagiato su una fetta di pane bianco tostata.

Mangiare al Villa Olmo, al di là del soggiorno, è una ipotesi da prendere in considerazione se si vuole godere di un luogo che sembra fatto apposta per somigliare ad un paradiso naturale. Provare per credere, soddisfatti o, da noi, anche... rimborsati.

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