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Scritto da aldo grandi
Ce n'è anche per Cecco a cena
31 Marzo 2023

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Miriadi di comunicati da scuole e associazioni varie intasano la posta della redazione per mettere in mostra fantomatici progetti scolastici. Una domanda allora giunge spontanea: dove è finita l’istruzione? La scuola di oggi sembra partorire progetti di ogni genere, ogni anno sempre di più, alcuni appaiono inutili, altri addirittura dannosi. A farne le spese sono poi gli studenti, figli di un dio minore e di una generazione scolastica che chiede competenze e tralascia l’ABC dell’istruzione. I progetti sembrano essere diventati i killer silenziosi della scuola. Uccidono la didattica e gli alunni si perdono in un mare di attività immotivate e intanto non sanno più coniugare i verbi, fare semplici frasi e neanche le operazioni. E gli insegnanti? A fare i conti con questa scuola-azienda-sforna progetti, sono anche gli insegnanti. Non esiste più il rispetto di una volta per loro, né da parte del sistema stesso che li riduce a semplici operai del progettificio e li soffoca nella morsa delle scartoffie, della burocrazia, dei corsi di ogni genere e neanche da parte delle famiglie. E allora rischiano di perdere la loro funzione principale: quella di insegnare e formare gli studenti. Poi ci sono i genitori moderni, quelli che “i loro figli hanno sempre ragione e guai a chi dice il contrario”.  Quelli che non accettano gli insuccessi scolastici e la colpa è sempre degli insegnanti che – a dir loro – sono troppo severi, non sanno insegnare e allora, alle brutte, arriva il ricorso dal tribunale oppure, alla meglio, arriva il reclamo al preside. Le famiglie di oggi vogliono figli perfetti come robot, li costringono a praticare sport tutti i giorni, musica, teatro e devono essere anche bravi a scuola. Sono talmente presi dall’apparire e dall’avere figli eccezionali, che sotto il naso si fanno sfuggire le proposte del progettificio nazionale, molte delle quali arrivano da Anpi, Arci e addirittura Arcigay.

Un lavaggio del cervello silenzioso, mascherato, che non dà l’idea di un’apertura mentale di quella che è la storia o la cultura in senso lato. Arriva tutto da una sola parte. Li mascherano come progetti storici o talvolta riguardanti la sfera affettiva, ma alla fine si porta nelle classi una sola voce e addirittura si parla di identità di genere, di teoria gender anche con gli alunni più piccoli. Ma questo sfugge ai genitori perché sono troppo impegnati a far crescere i loro figli come piccoli “genietti” e a criticare gli insegnanti. In tutto questo marasma dove chiunque perderebbe la bussola, ci sono anche gli studenti: sempre più dipendenti dal cellulare e dai videogiochi, soli e, dopo il covid, anche privi quasi del tutto di una vera socialità, se non virtuale. Aggressivi, pieni di ansie da prestazione, autolesionisti, confusi, depressi e con problemi alimentari e di autostima. E qua torna fuori la figura dell’insegnante che lascia per un attimo il ruolo di operaio del progettificio per diventare psicologo dell’alunno bisognoso di turno e si prodiga ad avvisare le famiglie che, chissà, se almeno da un orecchio vogliono sentire.

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