Caro direttore, ti racconto le avventure di un amico che ha comprato una auto elettrica a marchio nobile di origine svedese (guai fare nomi e cognomi: ti piovono addosso raffiche di querele). L’auto è venduta con autonomia di km 420 per ogni pieno di energia elettrica. Però un asterisco precisa che l’autonomia è garantita con il guidatore come unico occupante, senza bagagli e solo per il funzionamento del motore, quindi esclusi riscaldamento/condizionamento, luci, radio e ogni altra fonte di consumo energetico. L’amico, appena ricevuta la nuova auto elettrica la metteva in carica e il giorno dopo si metteva sulla via del rientro feriale da San Vincenzo a Firenze (KM 137).
La giornata cominciava con il cruscotto che segnalava una autonomia di km 270 anziché dei previsti 420, partiva comunque.
Arrivato a Pontedera (km 82 dalla partenza) si accorgeva che non aveva energia sufficiente per arrivare a Firenze.
La FI. Pi. Li. non ha alcuna colonnina di ricarica elettrica, quindi usciva dalla superstrada alla ricerca di una provvidenziale colonnina di ricarica.
Ci metteva una mezzoretta a trovarne una che però per erogare richiedeva l’attivazione di una complessa applicazione, cui accedeva con l’aiuto di un volenteroso giovanotto che aveva la competenza necessaria per attivare la famosa app.
Avveniva dunque il connubio fra auto e colonnina al prezzo fisso e prepagato di € 25. Dopo 40 minuti la ricarica segnava + 4%, fermo restando il prezzo di € 25.
Cercava quindi una alternativa che gli consentisse di rientrare a casa in auto anziché a piedi, costi quello che costi.
Nell’ora successiva ne visitava 4, ciascuna con le sue regole per l’accesso, ciascuna con prezzi molto differenti, alla fine riusciva nell’impresa di un nuovo connubio colonnina/auto al prezzo di € 55 per il 70% di pieno e con altri 40 minuti di tempo per la ricarica.
Arrivava in serata a Firenze “stanco ma contento”, come si diceva a scuola tanti anni fa: contento perché era riuscito ad arrivare a casa, stanco perché per percorrere i 137 km da San Vincenzo a Firenze ci aveva messo oltre 6 ore. Senza contare gli 80 € che aveva speso per le ricariche varie.
L’episodio conferma la grande differenza che c’è fra la teoria e la pratica, fra l’essere e il dover essere, dove ci soccorre la “legge di Hume”.
Il dover essere è l’U.E. che ha stabilito che a partire dal primo gennaio 2030 potranno essere vendute in Europa solo auto elettriche: il pianeta sarà salvo e le nuove generazioni vivranno in ambiente sano e non inquinato. Che, per inciso, è un bel progetto che ci affrancherebbe anche dai Paesi produttori di petrolio e gas: in pratica nostri avversari nella visione complessiva del modello di vita e di sviluppo. Senonché non ci spiega come faremo a produrre l’energia elettrica senza l’uso di gas e petrolio.
L’essere sono le difficoltà descritte dal mio amico: autentiche cacce al tesoro della colonnina giusta e libera, autonomie limitate, lamentele che stanno affluendo da parte degli (sfortunati) pionieri dell’elettrico, difficoltà a vendere le E-car (solo il 3,9% del totale da inizio anno), maggiori costi di acquisto e di manutenzione (il 50% in più), marea di E car invendute che affollano i parcheggi cinesi che avevano scommesso su facili e corpose vendite nel resto del mondo, le bufale che scrivono i compiacenti giornaloni circa le virtù, senza difetti, delle E-car; infine quello che pare il vero intento dei boss della U.E.: ridurre del 75% il traffico privato. Tutti sugli autobus, che funzionano poco e male. Le auto solo a disposizione del residuo 25% di ricchi o di apparatcik.
Tu fai quello che vuoi e la U.E. può dire quello che vuole: io mi tengo la mia ibrida (benzina/elettrico) che va benissimo, consuma il giusto, l’elettricità se la fa per conto proprio, la benzina la trovo quando e dove voglio.
Se facessimo tutti così forse i pasdaran europei del clima si darebbero una calmata e proporrebbero una “transizione green” meno fanatica.