Anno XI 
Sabato 17 Maggio 2025
- GIORNALE NON VACCINATO

Scritto da massimiliano massimi
Politica
13 Febbraio 2024

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Il consiglio comunale aperto di Lucca è iniziato alle ore 18.17, avente come oggetto “Giorno del ricordo - in memoria delle vittime delle foibe”. Enrico Torrini, presidente del consiglio comunale e dominus di palazzo Santini, dopo aver illustrato come si sarebbe svolto lo stesso ed aver chiarito che non ci sarebbe stato l’appello nominale dei consiglieri, poiché avrebbe fatto fede il foglio firme, ha dato la parola al primo cittadino di Lucca Mario Pardini.

Il sindaco ha iniziato il suo intervento ringraziando tutti i presenti e, soprattutto, le persone che, appositamente invitate, sarebbero intervenute. Ha proseguito dichiarando la propria soddisfazione personale per la partecipazione alla cerimonia del 10 febbraio da parte della cittadinanza e ha voluto ricordare l’importanza del Real Collegio, struttura utilizzata dalla città di Lucca per accogliere circa 1700 persone di nazionalità italiana provenienti da quei territori ormai divenuti jugoslavi; molte di quelle persone, provenienti dall’Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia, che lasciarono le loro case e le loro storie familiari per trovare accoglienza e rifugio a Lucca per alcuni anni per poi andare, successivamente, a stabilirsi in altre località della penisola italica. Ha voluto comunque precisare che ci furono anche delle famiglie di quei fuggitivi che decisero di rimanere in città e mettere nuove radici.

Ha proseguito richiamando anche le parole usate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata del ricordo, invitando tutti ad una partecipazione vera e condivisa di una tragedia italiana che per molto tempo è rimasta ignorata e, invece, dovrebbe essere motivo di riflessione, perché storie simili non devono più ripetersi.

Il presidente Enrico Torrini ha poi dato la parola al capo gruppo di minoranza di Lucca Futura, Gabriele Civati, il quale ha ricordato che la data del 10 febbraio è stata scelta perché in quella fu firmato il trattato di Parigi nel 1947, con cui i paesi sconfitti della seconda guerra mondiale videro ridisegnare i loro confini a favore dei paesi vincitori. L’Italia dovette cedere Istria, Quarnaro e Dalmazia alla Jugoslavia, seppure abitate da italiani e cariche di storia italiana da secoli. Non ha mancato di affermare che ciò fu dovuto a quanto aveva commesso la dittatura fascista durante il ventennio, alimentando l’odio che serpeggiava tra le popolazioni autoctone per gli italiani e che, successivamente, si riversò tra loro stesse fino alla caduta del regime comunista di Tito, il quale poi provocò ulteriori divisioni e la nascita di nuovi stati a seguito delle pulizie etniche degli anni ’90 del secolo scorso.

Ha allora preso la parola il signor Guido Giacometti, rappresentante per la Toscana dell’associazione Venezia Giulia – Dalmazia, che raccoglie gli esuli ed i simpatizzanti provenienti da quelle terre. Questi si è scusato perché aveva preparato un intervento articolato ma, essendo venuto a conoscenza da più parti della Toscana che molti insegnanti nelle scuole hanno rifiutato o deviato la discussione della Giornata del ricordo, si sentiva in dovere di ripartire da zero su quello che questa giornata significa, e ha spiegato che gli italiani provenienti da quelle terre sono stati gli unici che hanno vissuto oltre la cortina di ferro ed hanno subito non solo il fascismo, ma anche il comunismo.

Ha proseguito affermando che, mentre l’ANPI nazionale non ha alcuna remora nel condannare ripetutamente fascismo e nazismo, è assolutamente refrattario, anche solo a parlarne, nei confronti del comunismo. Ha ricordato che l’attuale presidente nazionale dell’ANPI è un ex deputato eletto nelle liste dei Comunisti italiani e che nel 2004 aveva votato contro la legge che istituiva la Giornata del ricordo. “Il comunismo è stato un regime totalitario e repressivo altrettanto atroce come quello nazifascista”, ha affermato, chiamando poi in causa Norberto Bobbio che in una lunga intervista al quotidiano “L’Unità” ha dichiarato che il comunismo ovunque è stato imposto con violenza e terrore.

Ha poi sottolineato come ancora oggi sia un tabù parlare delle stragi commesse dal comunismo, mentre non c’è alcuna esitazione a richiamare quelle commesse dal nazifascismo. “Il problema- ha affermato- viene soprattutto dal corpo insegnante nelle scuole, che glissa totalmente l’argomento e di fatto porta avanti una cultura negazionista che non ha più alcuna ragione di esistere”. Ha infine terminato affermando che tra i compiti prefissati dalla sua associazione ci sarà certamente quello di combattere questo negazionismo.

È allora intervenuto il signor Gionata Altieri, facendo una panoramica storico-politica delle terre orientali italiane a partire dalla prima guerra mondiale per arrivare al secondo conflitto, con un passaggio che è andato dalla presa di Fiume all’italianizzazione dell’area geografica in cui esistevano le popolazioni slovene e croate che il fascismo attuò, per poi giungere al regime comunista jugoslavo che operò, con determinazione feroce, la caccia agli italiani, inizialmente con la ricerca dei fascisti per poi allargarsi a tutta la popolazione di origine italiana.

Ha poi preso la parola la signora Antonia Martellini, esule istriana, che ha portato la sua testimonianza sia sul periodo bellico della seconda guerra mondiale sia, soprattutto, sui massacri operati dai titini nella città di Pola, di cui è originaria. In particolare, ha riportato la mente al giorno dell’armistizio in cui assistette personalmente al rastrellamento dei civili da parte dei nazisti e, poi, al momento in cui vide le impiccagioni da parte dei partigiani titini degli italiani e del fratello della madre, che era stato infoibato. Ha terminato il suo intervento, riscuotendo l’applauso di tutti i presenti, recitando la preghiera dell’eterno riposo per tutti i caduti italiani delle foibe.

In quel momento ha preso la parola il professor Battistini, che ha letto i ricordi della madre, esule istriana di Pola. Struggente questa testimonianza indiretta, rappresentante la nostalgia dei molti istriani che dovettero abbandonare la loro terra per non essere uccisi dai partigiani titini. Una scelta dettata dalla necessità di salvare il bene più prezioso: la vita. L’abbandono di tutti i beni materiali, un senso di abbandono anche del cuore e della mente ai dolci ricordi di un tempo felice tramutato in tragedia dalla ferocia comunista dopo aver già subito gli orrori della seconda guerra mondiale.

Il professore ha richiamato al dovere di onorare la Giornata del ricordo, perché solo una memoria collettiva e condivisa eviterà che simili orrori avvengano nuovamente. Ha inoltre rievocato l’importanza che ha avuto, sia per i suoi genitori che per lui stesso, la scritta Libertas presente sui muri di porta san Pietro, che riuscì a fornire loro una nuova speranza dopo tanti patimenti.

È poi giunto il turno di Sandro Righini, responsabile del comitato provinciale 10 febbraio, che ha ripreso i motivi per cui si è reso necessario richiedere l’istituzione della Giornata del ricordo, che quest’anno ha visto il suo ventesimo anniversario. Quest’anno, ha inoltre ricordato, ricorre anche l’ottantesimo anniversario del bombardamento di Zara, a seguito del quale avvenne il primo vero esodo italiano dalla Dalmazia, luogo in cui si dette inizio alla tragedia delle foibe. Righini ha poi ricordano i rapporti tra la Dalmazia e la Toscana, risalenti a tempi molto più antichi di quelli che erano temporalmente trattati.

Ha preso la parola, visibilmente commosso, il signor Aligi Soldati, di 87 anni, che ha ricordato di essere stato costretto ad abbandonare la sua città d’origine quando ne aveva solo 10. “Non vi è memoria d’uomo nella storia italiana- ha affermato- che possa raccontare la stessa tragedia che nel 1947 subirono i dalmati, i fiumani e gli istriani, costretti all’esodo forzato”.

Ha proseguito narrando ciò che egli stesso ha patito e che, nonostante la grande voglia, non aveva mai potuto raccontare, dal momento che vi era una chiara volontà di lasciare nell’oblio e nell’indifferenza tutto quanto subito non solo da parte dei titini, ma anche da parte dell’Italia, che li aveva accolti rinchiudendoli in campi profughi da dove, con grande dignità, sono riusciti ad uscire per dare voce al silenzio. “In tanti hanno taciuto e volutamente ignorato quanto è accaduto agli esuli dalmati, istriani e giuliani, che erano soprattutto italiani cacciati dalle loro terre, umiliati e costretti a fuggire nottetempo per non subire un regime, quello comunista, che si è rivelato peggiore di altri che nel mondo hanno mietuto migliaia di vite”, ha commentato.

Ha richiamato alla mente gli insulti e le angherie verbali subiti al rientro forzato in patria, dove venivano indicati come fascisti che fuggivano dal paradiso del socialismo. La Dalmazia, l’Istria e la Venezia Giulia appartenevano all’Italia ed avevano salde radici italiche da secoli, anche con presenze delle popolazioni slave che già dal termine del secondo conflitto mondiale hanno portato avanti un processo di nazionalismo slavo a danno degli italiani. Questi ultimi si trovarono davanti ad un bivio: scegliere di morire per mano dei partigiani titini, o essere infoibati, oppure fuggire per diventare esuli in patria. Molti non ebbero nemmeno la possibilità di scegliere; chi riuscì a rientrare in Italia dovette subire per tutta la vita la nostalgia per le proprie case, per i propri affetti e trovare, nel migliore dei casi, l’indifferenza dei compatrioti e la vergogna di vivere nei campi profughi dimenticati e lasciati all’oblio del silenzio, quel silenzio che con il passare degli anni sarebbe diventato talmente assordante da riuscire a sfondare quel muro di gomma che coloro che amavano l’ideologia comunista avevano costruito in Italia.

Il consiglio comunale si è chiuso alle 19.49 con le parole del presidente Enrico Torrini, che ha invitato a riflettere sulle testimonianze ascoltate e trarne le conclusioni dettate dalla coscienza di ciascuno.

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